Mediazione e missione: le funzioni del giornalista secondo Paolo VI

Paolo Vi adesso viene proclamato santo. Già prima che diventasse papa, Giovanni Battista Montini si era molto interessato alla ‘comunicazione sociale’, che proprio a metà del Novecento attraversava una prima profonda trasformazione. Si deve a lui, nel 1940, l’incoraggiamento per la nascita della Pia Unione S.Francesco di Sales, che operò per qualche tempo “per favorire un arricchimento culturale e spirituale dei giornalisti” e che in qualche modo anticipò la nascita dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana (avvenuta nel 1959).

In questa occasione abbiamo ripreso una parte del suo discorso ai giornalisti dell’Ucsi del 1963. La versione integrale è a questo indirizzo. Ma di sollecitazioni ai giornalisti è pieno il suo pontificato.

Parlare a Giornalisti! c’è di che tremare: i Giornalisti sono i professionisti della parola, sono gli esperti, gli artisti, i profeti della parola! Si può riferire ad essi ciò che Cicerone dice dell’oratore «omnia novit»; il giornalista sa tutto; la virtualità del suo pensiero e del suo linguaggio è tale da mettere in imbarazzo chiunque osi colloquiare con lui, anche se l’interlocutore ha una sua parola grave e densa da proferire; la quale però, a confronto di quella agile, duttile, felice del giornalista, resta timida e stentata e quasi dubbiosa di venire alle labbra.

Parlare a Giornalisti! c’è di che temere: essi sono pronti ed abilissimi a carpire una parola, un’allusione, una frase, e a trovarvi dentro cento significati; e ad attribuirvi quello che essi vogliono; la loro curiosità è una rete tesa, in cui l’incauto che vi si appressa, candido ed ingenuo, cade facilmente, assalito da questioni inattese, da domande compromettenti, da giudizi imprevisti, liberi ed audaci, talvolta inesatti e spietati.

Parlare ai Giornalisti! c’è di che supporre ciò essere superfluo: essi sanno tutto, dicevamo; essi non cambiano certo parere: essi si considerano semplicemente dei trasmettitori delle parole altrui e dei fatti che non li riguardano; si può sospettare ch’essi siano, in fondo, un po’ scettici, quasi indifferenti, troppo scaltriti nel classificare le opinioni altrui per subirne l’influsso e per dare a ciò che ascoltano altro peso che quello professionale, l’interesse cioè per il loro giornale e non per la loro anima.

Queste sono le prime reazioni interiori, che sorgono anche nel Nostro animo all’invito che questo incontro ed altri simili pongono ad un colloquio con Giornalisti. Occorrerebbe almeno tempo e modo per distendere qualche pensiero ordinato e meditato; ciò che in questo momento non ci è dato di fare. Le prime reazioni, dicevamo; perché altre subito succedono che prevalgono vittoriosamente con una duplice considerazione.

La prima: ma vi è mai pubblico più importante a cui rivolgere la parola di quello che alla parola dà la risonanza, dà le ali della stampa? Vi è mai pubblico più attento, più avido, più idoneo a tutto comprendere, a tutto raccogliere, a tutto divulgare? Non è il colloquio con i Giornalisti il più interessante, il più redditizio, il più degno d’essere accolto e servito?

La seconda considerazione poi ci rende non solo solleciti, ma felici di rispondere al dialogo offerto: sono Giornalisti cattolici! Sono figli, altrettanto abili che fedeli, i quali non altro maggiormente ambiscono che ascoltare una parola del Papa per farla propria e per diffonderla ad altri, con un’attenzione, un’esattezza, una premura, una bontà, che non sarebbe possibile trovare in alcun altro ceto di uditori.

(...)

Così che, carissimi e bravissimi Giornalisti cattolici, Noi ci permettiamo d’integrare il significato della parola che avete messo al centro delle relazioni e delle discussioni del vostro Convegno, la parola «mediazione»; la quale voi avete attribuito giustamente alla vostra funzione, che si colloca fra la verità e la pubblica opinione.

È vero: voi siete in mezzo fra la verità ed il pensiero della gente, dei vostri lettori; e naturalmente siete in mezzo per trasfondere la verità nell’opinione pubblica. Ora una tale funzione, esercitata con l’amore - e certo in molti di voi per l’amore - alla verità da un lato e al lettore dall’altro, compiuta con vigore e rigore di spirito, e a servizio non solo di quella fuggevole e fenomenica verità, ch’è l’accelerato succedersi dell’umana vicenda, la nostra cronaca effimera e muta, quasi fotografata e proiettata sul pubblico, ma di quella verità altresì, che rimane, perché divina, ed illumina, come sole sospeso nel cielo, a nostro gaudio e a nostra salvezza, la scena del mondo, una tale funzione, diciamo, non è solo mediazione - strumentale, passiva, impersonale -; ma missione: attiva, apostolica e quanto mai personale e meritoria.

E siccome così è la funzione vostra, mediazione e missione, ben di cuore la incoraggiamo e la benediciamo.

foto: Avvenire

Ultima modifica: Sab 13 Ott 2018