Le parole 'sbagliate' nei casi di femminicidio

L’uccisione di Elisa Pomarelli, nel piacentino, riapre il confronto sulla correttezza dell’informazione nei casi di ‘violenza di genere’.

Alcuni articoli e servizi appaiono “in palese, pericoloso contrasto con una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno”. E segnano l’ennesimo esempio di mancata applicazione del Manifesto di Venezia, a cui prontamente, nel 2017, ha aderito anche l’Ucsi (qui l’articolo e il testo integrale del Manifesto).

Questo perché ogni volta si usano parole sbagliate per raccontare la violenza, il femminicidio. Si cercano giustificazioni, si focalizza l’attenzione sull’assassino. E si dimentica la vittima. “Che scompare, non solo fisicamente: è una figura marginale nella ricostruzione, verso di lei non c'è rispetto, al massimo attenzione morbosa”, scrivono in una nota congiunta le Commissioni Pari Opportunità di Federazione nazionale della Stampa italiana, Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, Usigrai e l'associazione Giulia Giornaliste.

Questi organismi adesso "si impegnano ancora di più per una formazione sui contenuti del Manifesto di Venezia, sottoscritto da centinaia di colleghe e colleghi ma ancora scarsamente conosciuto e applicato. "Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso".

Ultima modifica: Lun 9 Set 2019