Vogliamo continuare ad essere giornalisti 'maturi' che su media 'antichi' parlano a cittadini 'anziani'?

L’ultima in ordine di tempo è una ricerca dell’Osservatorio Giovani e Futuro di MTV (promossa da ViacomCBS Networks Italia) che, analizzando gli atteggiamenti dei giovani in questa emergenza sanitaria, conferma che neanche il dover stare in casa, con meno cose fare e più tempo a disposizione, spinge i giovani ad avvicinarsi all’informazione. Non a quella tradizionale, almeno, intendendo con questa parola quella che passa attraverso televisione, giornali e radio. A confermarlo è un articolato rapporto che AGCOM ha pubblicato in febbraio: “L’informazione alla prova dei giovani”.

Il rapporto prende in considerazione un arco di età piuttosto ampio (14-34 anni) e conferma appunto la fuga delle nuove generazioni dai mezzi tradizionali e la sempre maggiore dipendenza dalla rete. Trend in atto da anni, ma accelerato dalla diffusione capillare e articolata dei social, dei quali i giovani si servono per fare molte cose diverse – giocare, ascoltare musica, mantenere o costruire relazioni, organizzare feste eccetera – e anche per informarsi.

È un fatto che «l’età media delle audience di tutti i mezzi informativi è generalmente più alta dell’età media della popolazione italiana, con l’eccezione delle testate online». E comunque l’età media di chi segue queste ultime è di 44 anni: non proprio ragazzini, insomma.

Ma perché l’informazione, che passa attraverso i media tradizionali, non incontra le esigenze e i gusti dei giovani? Uno dei motivi che il Rapporto Agcom individua è che «l’età media dei giornalisti si è notevolmente alzata e varia dai 50 anni della TV ai 44 di chi scrive in testate online». Tanto perché sia chiaro, io ho ampiamente superato l’età media e devo ammettere che, se mi chiedessero di definire le esigenze informative delle nuove generazioni sarei in forte difficoltà. Insomma, la tesi del Rapporto su giovani e informazione è che l’età di chi seleziona e confeziona le notizie impedisce l’emergere di temi e punti di vista nuovi, facendo alzare anche l’età di chi legge.

I giovani vanno in cerca di narrazioni diverse, perché non solo non si sentono rappresentati e non sentono rappresentati i propri interessi (ad esempio, vorrebbero più scienza e tecnologia), ma anche perché trovano l’informazione tradizionale poco stimolante, anzi deprimente. Ed in effetti bisogna ammettere che, negli ultimi decenni, quotidiani, periodici, telegiornali e radiogiornali «non sono stati interessati da significative innovazioni di prodotto».

L’offerta che viaggia su Internet invece incontra maggiormente i gusti giovanili per diversi motivi, che vanno dal come sono concepiti e realizzati i servizi, a come vengono rilasciati, ai device attraverso i quali si possono fruire.

La conseguenza? Il rapporto parla di “ghettizzazione” dei giovani nel mondo della rete, quasi sempre unica fonte informativa. C’è quindi una frattura generazionale: i giovani accedono meno all’informazione, e quando lo fanno consumano un tipo di notizie diverso rispetto a quello di cui si nutrono le generazioni più mature, attraverso apparecchi diversi (i cellulari), da fonti diverse (testate online, ma anche influencer e blogger) e intermediari diversi (i social). Sarà dunque sempre più difficile che generazioni diverse condividano narrazioni su ciò che succede nel mondo?

Gli aspetti critici del rapporto tra giovani e informazione non finiscono qui. C’è il problema dell’“information divide”, anche questo un fenomeno conosciuto, ma qui riemerso: anche all’interno della stessa generazione non tutti hanno la stessa facilità di accesso alle notizie, chi ha una situazione socio-economica familiare più elevata ha più probabilità di essere informato. C’è il problema degli strumenti culturali necessari per districarsi in Internet fra fake news e notizie attendibili. C’è il pericolo di chiudersi su poche fonti e di un solo tipo. E così via.

Non spetta a noi giornalisti affrontare e risolvere tutti questi problemi, ma sicuramente spetta noi affrontare la domanda sull’innovazione nell’informazione. Per dirla un po’ brutalmente, vogliamo continuare ad essere giornalisti “maturi” che su media “antichi” parlano a cittadini “anziani”?

Ultima modifica: Mar 21 Apr 2020