I sessant'anni dell'Ordine: la presenza e le proposte dell'Ucsi

L'Ordine dei giornalisti ha celebrato oggi con una grande iniziativa nella Biblioteca nazionale si Roma il 60° della sua legge istitutiva. Un evento importante, anche perché hanno partecipato il ministro della giustizia Carlo Nordio e anche l'ex ministro Giovanni Maria Flick.

Può rasserenare il fatto che Nordio, al centro del dibattito negli ultimi tempi proprio sui temi della libertà d'informazione, del ricorso alle intercettazioni, sottolinei che questa libertà è essenziale sia per la democrazia, sia per la cultura di un paese. Anche Flick ha evidenziato i suoi tentativi di delineare soluzioni.

La giornata, tuttavia, apre a molte considerazioni. Innanzitutto, bene la celebrazione ma eviterei che la ricorrenza possa essere celebrata come una ‘festa’, perché sul piatto c’è una crisi importante e - comunque - l’incapacità, nonostante un dibattito aperto da decenni, di arrivare a una necessaria riforma del testo. La professione di oggi non ha più neanche l’ombra di quello che era agli inizi degli anni ’60, tant’è che, ad esempio, un congresso Fnsi di molti anni fa aveva come titolo “i tanti giornalismi”.

Sarebbe interessante approfondire i motivi per i quali questa riforma non si è fatta, perché la gestazione non è mai approdata a nulla. La riflessione si è concentrata anche sulla pluralità degli albi, si è teorizzato pure di arrivare a un solo albo. Solo cinque anni fa il Consiglio nazionale dell’Ordine è riuscito a licenziare una sua proposta, dopo un dibattito infinito.

La domanda tuttavia resta: a quale professione vogliamo riferirci? In questi decenni è cambiata la grammatica del giornalismo, in cui c’è un mercato tradizionale che affronta una crisi strutturale, con perdita di ascolti e di copie, e un giornalismo che viaggia sui canali della tecnologia che fa fatica a trovare una sostenibilità finanziaria.

L’Ucsi con la sua rivista Desk ha aperto un laboratorio sul futuro della professione, a favore, in particolare, di una ‘sostenibilità anche etica’ del giornalismo. Da queste riflessioni emergono alcuni dati interessanti: la proposta d un “terzo tempo” del giornalismo, che lo accompagni verso questa nuova stagione attraverso l’ascolto e un'intelligente elaborazione culturale. Secondo: l’ascolto -appunto- di quel movimento di idee rappresentato dal giornalismo costruttivo e che in Italia trova spazi e strade in Realtà quali Constructive Network, Slow Journalism, Mezzopieno.

I colleghi più giovani e meno tutelati hanno bisogno di garanzie, di dignità, che passano attraverso maggiori opportunità, percorsi di formazione e accompagnamento, che abbiamo prima di tutto orizzonti etici per i quali valga la pena lavorare. Ciò significa, ad esempio, che prima ancora del giornalismo esistono le persone, perché i giornalisti sono prima di tutto persone, ma le condizioni in cui spesso sono costrette a lavorare lo mettono a volte in dubbio, così sono persone anche i destinatari delle notizie. C’è un diritto a informare con un lavoro dignitoso e un diritto a essere informati con correttezza e competenza.

Il futuro della professione oggi è visibilmente schiacciato da correnti di pensiero e poteri forti che ne vorrebbero fortemente ridimensionata la capacità e possibilità di espressione. Resistere a queste pressioni, la cosiddetta “schiena dritta” è indispensabile ma non basta se non c’è una griglia di norme che tutelino la professione come espressione diretta della salute della democrazia.

*L'autore, Vincenzo Varagona, è il presidente nazionale dell'Ucsi

Ultima modifica: Ven 3 Feb 2023