Comunicare la crisi: serve discernimento, anche da parte dei giornalisti

In Italia è in atto un grande cambiamento antropologico accompagnato da una profonda crisi demografica che non emerge in tutta la sua multiforme dimensione e complessità. Ma questo non significa che va tutto male. Le imprese manifatturiere sono tra le più competitive a livello internazionale, gli italiani, popolo di formiche, hanno ripreso a risparmiare da quattro anni. Non c’è dunque solo povertà, la ricchezza circola, ma vi è una distorsione nella distribuzione. I ricchi sono diventati più ricchi, i poveri più poveri. Tra gli effetti della persistente crisi si annovera anche una sfiducia diffusa che altera la percezione della realtà. E poi c’è il grande problema demografico, sul quale la politica non interviene in modo efficace. L’Italia nel 2050 sarà più multietnica ma più anziana: gli italiani saranno 61 milioni e gli ultrasessantacinquenni supereranno il 30% della popolazione (dal 20% attuale) e gli ultraottantenni cresceranno dall’attuale 5,8% al 15%. Il numero totale di stranieri passerà dall’attuale 9% al 17%. Ma con una prefigurazione negativa della realtà e del futuro non si esce dalla crisi. È necessario recuperare uno sguardo positivo. È il ritratto dello Stivale consegnato da Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos, intervenuto al seminario tenutosi a Roma nei giorni scorsi “Comunicare la Carità. Strumenti per imparare a raccontarsi”, promosso dalla Consulta Ecclesiale degli Organismi socio-assistenziali, con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.


Abbiamo intervistato Pagnoncelli per il nostro sito.

In un clima di esasperato allarmismo economico e sociale che deprime l’economia e frena la ripresa, s’intravedono delle luci nella foto del Paese che ci consegna...
"L’Italia si presenta con un’identità debole e incerta, piena di ambivalenze e di contraddizioni. Emergono un’accentuazione della dimensione individuale nelle persone e il contemporaneo affievolirsi dell’identità collettiva. A risentirne è la fiducia nei confronti delle istituzioni e delle organizzazioni sociali. In questo contesto però ci sono le buone notizie. L’Italia è il quinto Paese al mondo e il secondo in Europa per il volume delle esportazioni del settore manifatturiero, è preceduta solo dalla Germania. Le nostre indagini rilevano ancora che, le famiglie che a causa della crisi avevano dato fondo ai risparmi, da quattro anni hanno ripreso a risparmiare. Ma la percezione della situazione congiunturale non è cambiata, gli italiani interiorizzano la crisi. Infatti, per il 60% degli intervistati il peggio della congiuntura economica avversa deve ancora arrivare, per il 31% l’uscita è molto lontana, ci vogliono almeno tra 5-10 anni, solo per l’8% il peggio è già passato. Non è tutto positivo ma dire che va tutto male è approssimativo e semplicistico. In questo clima di pessimismo e allarmismo diffuso la gente non consuma, non fa figli e la comunicazione ha una forte responsabilità".

Come si può intervenire affinché la percezione degli eventi sia più vicina possibile alla realtà?
"Bisogna far crescere la capacità di discernimento nei cittadini e nei comunicatori. La cultura è uno strumento necessario. Bisogna studiare, informare e approfondire. Lo dovrebbero fare i giornalisti e la gente comune. La cultura sveglia le coscienze. Il livello di analfabetismo in Italia è troppo alto ancora".

Il tema dell’invecchiamento della popolazione del nostro Paese è molto discusso, alcune volte strumentalizzato. Perché le risposte tardano ad arrivare?
"È un tema che richiede politiche demografiche di lungo periodo e impopolari. Per la politica significherebbe mettere mano al welfare con scelte drastiche sulla ripartizione delle ricchezze, dovrebbe spostare le risorse dai ceti ricchi verso quelli più poveri. Misure che nel breve periodo procurano malcontenti nei cittadini e che non si traducono in consensi elettorali".

Ultima modifica: Lun 14 Nov 2016

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