Gioco d'azzardo: fenomeno grave, per combatterlo serve anche una "alleanza con i giornalisti"

Don Armando Zappolini, parroco di un piccolo paese della provincia di Pisa, oltre ad essere il presidente nazionale del coordinamento delle comunità di accoglienza (CNCA), da tempo è impegnato in prima linea nella battaglia (soprattutto culturale) contro il gioco d’azzardo, nelle sue molteplici forme. Con lui, che è il portavoce nazionale della campagna “Mettiamoci in gioco” (alla quale aderiscono decine di associazioni di matrice diversa) vogliamo riflettere sul ruolo negativo di certa comunicazione, anche di quella che arriva direttamente ai più giovani e ai più fragili. Basta vedere quanta pubblicità riempie le pause delle partite di calcio in tv, ogni fine settimana...

Cosa si può fare davvero, contro questo diluvio di facili illusioni?
“La risposta è categorica: bloccare questi spot. Non si può agire solo sull’offerta, ma anche sulla domanda. E quindi, come si è fatto con il fumo, bisogna fermare tutta questa pubblicità. Da più di un anno abbiamo avanzato la proposta per una legge chiara e semplice, di soli tre articoli, per ottenere questo risultato. E’ stata presentata ai due rami del Parlamento da due diverse forze politiche, ma ancora è tutto fermo”.

E’una critica alle istituzioni?
“Registriamo che il governo qualcosa ha fatto in questi mesi, creando un osservatorio specifico e mettendo anche un limite orario agli spot nelle tv generaliste, ma alla base c’è una certa schizofrenia e non si fanno le cose che contano veramente”.

Noi giornalisti quali responsabilità abbiamo?
“Le società del gioco hanno l’obbligo di destinare una percentuale dei proventi nella pubblicità, e alla fine si tratta di più di cento milioni. Ecco perché le grandi testate giornalistiche spesso sono condizionate dai loro editori. Mi ha molto colpito che quattro anni fa, quando abbiamo presentato la nostra campagna nella sede della Federazione nazionale della Stampa a Roma, sono intervenuti solo Avvenire, Radio Vaticana e Il Manifesto. C’è un evidente vincolo di interesse, un limite che il giornalista eticamente soffre come un abuso della sua professionalità”

Cosa potremmo fare allora?
“Creare una forma di obiezione di coscienza e stare sulle questioni vere del paese. Non ci sono cose di cui si può parlare e altre no. Non si possono disegnare scenari fantasiosi e apocalittici sull’immigrazione e sulla sicurezza e invece sottovalutare la portata di un fenomeno che sta rovinando centinaia di migliaia di persone. Perché ripeto: le istituzioni (il governo, le regioni, i comuni) qualcosa hanno fatto, ma occorre cominciare ad agire anche sulla domanda. E’ qui in fondo che si misura l’etica”.

Lei ha polemizzato con la Federcalcio, per la sponsorizzazione della Nazionale...
“Si, perché c’è anche un valore educativo e di immagine che lo sport trasmette alle nuove generazioni. Su questa frontiera si misurano anche etica e professionalità dei mezzi di comunicazione”.

C’è altro che dovremmo cambiare nei nostri mezzi di comunicazione?
“Anche le trasmissioni a premi nelle quali vince chi indovina il pacco sono diseducative. Ma io contesto con forza un’altra cosa: la pubblicizzazione che si dà delle grandi vincite ai giochi. Se noi diciamo che si guadagnano duecentomila euro con un “gratta e vinci” da due, è chiaro che si creano nuove facili illusioni e si alimenta ancora di più l’azzardo”.

Il rimedio è bloccare la pubblicità? Non è che la gente ha smesso di fumare dopo quel divieto...
“Per il fumo entrano in gioco altri fattori, in un giovane per esempio quello di volersi sentire adulto. Ma non si può più fumare nei locali pubblici, ad esempio, e in ogni caso tutti ora sanno che c’è un legame tra la nicotina e la salute; per il gioco non è ancora così. Io sono convinto che una cosa che provoca danni non debba essere pubblicizzata, semmai pensiamo a far conoscere bene i sistemi di regolamentazione. Occorre limitare con particolare attenzione tutto quello che aggredisce le fasce più deboli e meno capaci di gestirsi”

La vostra campagna ha prodotto qualche collaborazione con i giornalisti e chi li rappresenta?
“Non ci sono iniziative in comune per ora, anche se segnalo l’ottimo lavoro che su questo tema sta facendo per esempio Avvenire. Voglio allora lanciare una proposta all’Ucsi: riflettiamo insieme, creiamo qualche occasione di confronto e di approfondimento. Non tanto sul fenomeno in sé, quanto sulla comunicazione che se ne dà. E’ necessario far emergere il collegamento che c’è tra informazione che arriva e pericolosità che suscita”.

Mentre concludo l’intervista e saluto don Armando, sullo schermo scorrono altri spot dei siti di scommesse. E lui commenta che tutto questo genera da un lato l’adrenalina del rischio, dall’altro una sensazione di normalità. Perché è facile, si può fare sul telefono, regalano anche un bonus. “Tutto ciò che crea dipendenza comincia mascherandosi di normalità. Non è così anche per la droga?”. E’ questo in fondo il pericolo vero.

Ultima modifica: Lun 5 Dic 2016

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