drag&drop - Il diritto all'oblio, quando vale e quando no

Diritto all’oblio: da sconosciuto ad “abusato”. Così il Garante della privacy ha stabilito che non si può più invocare per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo. Non tutti, insomma, hanno il diritto di “sparire” dal web, perché c’è anche un diritto altrui di non restare ignari che non deve essere sottovalutato...

Nato dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 13 maggio 2014 (la quale impose a Google di provvedere alle richieste degli utenti di essere «de-indicizzati» dal motore di ricerca), e fortemente voluto dagli enti europei impegnati nella tutela della privacy, il diritto di un individuo a essere dimenticato, o meglio a non essere più ricordato sul web per fatti che in passato sono stati materia di cronaca, in queste settimane è stato oggetto di precisazioni.
A far tornare l’argomento di attualità, il ricorso presentato da un ex consigliere comunale coinvolto in un’indagine per corruzione e truffa che si è visto rifiutate le richieste avanzate a Google. Dopo aver esaminato il caso, anche il Garante ha dichiarato infondata la richiesta. Per l’autorità è importante che - digitando quel nome e cognome - nella Rete riaffiori ancora l’indagine in cui era rimasto coinvolto l’ex consigliere. Sebbene il trascorrere del tempo sia la componente essenziale del diritto all’oblio, infatti, questo elemento incontra un limite “quando le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi e che hanno destato un forte allarme sociale”.

Come nella vita reale, insomma, anche sul web non basta una passata di spugna e poi rifarsi il maquillage per ripristinare l’onore. C’è una collettività da tutelare, nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità di tutte le persone.

Ultima modifica: Mer 28 Dic 2016