Giornalisti come al fronte. I dati di “Reporters Sans Frontières"

Il 2017 è da poco iniziato e, guardando all'anno appena concluso, il pensiero va a chi non c'è più: penne spezzate, voci soppresse, telecamere spente, scatti oscurati, siti, blog e social impoveriti da assenze che pesano. Come ogni anno sono i dati di “Reporters sans frontières” a documentare come è andata, quante sono state nel mondo le vittime dell'informazione, cadute in nome del dovere di informare - spesso esercitato con passione e rigore - che coincide con l'universale diritto collettivo ad essere informati...

Nel 2016 sono state 74, un numero elevato, anche se in calo rispetto alle 101 vittime dell'anno precedente.
Secondo l'analisi dell’organizzazione, però, questa diminuzione è motivata dal fatto che "tanti reporter sono stati costretti a fuggire da Paesi divenuti troppo pericolosi". E sappiamo bene come l'assenza di cronisti significhi vuoto di informazione in alcune nazioni come Siria, Iraq, Libia, Yemen e Afghanistan, Bangladesh e Burundi. Paesi ad alto rischio, in cui tra l'altro i giornalisti sono visti come merce di scambio e bottino ambito dai terroristi.

E’ della Siria con 19 vittime il primato del maggior numero di operatori dell’informazione uccisi, seguito dall’Afghanistan con 10, dal Messico con 9, dall'Iraq (7), dallo Yemen (5). Numeri che significano vite spezzate, in quel tributo di sangue pagato dal giornalismo in nome della verità. Quelle citate sono nazioni in cui lo stato di guerra è conclamato, tranne che nel Messico, dove da almeno dieci anni il governo parla di criminalità organizzata, ma dove in realtà sono i narcotrafficanti a controllare ampie zone di territorio, a contare sulla corruzione di pezzi delle istituzioni e a non consentire la libera informazione, dissuadendo i reporter «dall'analizzare e approfondire i fatti», con minacce e sequestri, mentre - afferma il rapporto - «le autorità chiudono gli occhi». Anche alcune strategie dei giornalisti - come firmare collettivamente gli articoli o non firmarli affatto - non sempre si sono rivelate efficaci.

Il 2016 ha visto, oltre alla citata diminuzione delle vittime, un incremento del 6 per cento dei reporter incarcerati o sequestrati, per un totale di 348.
Il caso più inquietante è quello della Turchia, dove dal fallito golpe del 15 luglio scorso, il numero dei reporter in cella è quadruplicato, portando a un centinaio gli operatori dei media in prigione. Altri 52 sono in ostaggio di gruppi terroristi e criminali. Solo il Daesh ne detiene 21. Di fronte all' emergenza, Rsf ha chiesto l' istituzione di un "rappresentante speciale" per la sicurezza degli operatori dell' informazione, che faccia riferimento diretto al Segretario Onu.

Farebbe bene anche a un paese come l'Italia, al 77esimo posto nella classifica della libertà di stampa. Una collocazione certo poco onorevole, ma non può dirsi libero e sano un Paese in cui ci sono giornalisti minacciati da mafie e criminalità, costretti a vivere sotto scorta, in pericolo solo per il fatto di indagare su corruzione e malaffare. È un fenomeno preoccupante e che non riguarda solo chi fa informazione, ma la società nel suo complesso. È drammatico sentirsi "al fronte", minacciati o attaccati, talora indiscriminatamente, solo per il fatto di fare il proprio mestiere.

Ultima modifica: Mer 4 Gen 2017

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