Storie di giornalisti cristiani perseguitati in Asia

“Non possiamo vendere in modo pubblico i nostri giornali sul mercato, non possiamo accostare il nostro nome a storie di persecuzione”. Lo afferma un giornalista cattolico pakistano, testimoniando la difficoltà di quanti come lui appartengono a minoranze religiose e incontrano ostacoli nell’esercizio della professione.

Egli è intervenuto in occasione dell’Asia Journalists’ Roundtable organizzata da Signis, associazione cattolica mondiale per la comunicazione. Alla conferenza hanno partecipato 20 giornalisti provenienti da 13 Paesi asiatici.

La maggior parte dei giornalisti riporta che essere cristiani è una vera sfida nel campo della comunicazione. Il pakistano riferisce che non è facile entrare nel settore del giornalismo e dei media se si appartiene alle minoranze religiose. “Siamo davvero in pochi – aggiunge – tanto che potremmo contarci sulle dita di una mano”.

Yohanes Agus Ismunarno, giornalista indonesiano, condivide le stesse difficoltà: “Lavoro come direttore per un organo di stampa ufficiale, ma non posso utilizzare il mio nome cristiano. Non posso praticare in modo libero la mia confessione nel mio Paese ed esprimere gli insegnamenti di Cristo negli articoli”.

Il filippino Perry Paul Lamanilao aggiunge: “Dobbiamo riportare informazioni di prima mano e verificare sempre con estrema accuratezza le storie che raccontiamo”. Secondo Cheng Chomneth, cambogiano, “il giornalista deve ritrovare fiducia nei principi guida della professione”.

Ultima modifica: Mar 14 Mar 2017