Comunicare l'Europa, gli errori (anche) di noi giornalisti.

Tra i mali dell’Europa c’è anche quello di una cattiva comunicazione? E, se è così, sbagliano le istituzioni (e chi le rappresenta) o piuttosto facciamo degli errori noi giornalisti?

All’indomani delle celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma abbiamo girato queste e altre domande ad un esperto, grande conoscitore dell’Europa di oggi. E’ Roberto Castaldi, docente universitario e direttore del CeSUE, Il Centro Studi sull’Unione Europea.

Insomma, chiediamo subito, c’è anche un errore di comunicazione all’origine dei mali dell’Europa di oggi?
“Il problema innanzitutto è dell’Europa, che si occupa di tante cose utili ma che, secondo la maggior parte dei cittadini, dovrebbe concentrarsi soprattutto sull’economia, sulla sicurezza, sulla politica estera e sulla difesa. Nello stesso momento noto però che la comunicazione dà rilievo quasi esclusivamente alla politica nazionale di ogni singolo stato, ignorando tra l’altro che tutte le decisioni più importanti ormai sono prese a livello comunitario. Il Parlamento Europeo, pensate, produce il 70% della legislazione che incide nei singoli paesi, ma di solito viene ignorato nei notiziari. I mezzi di comunicazione evidentemente preferiscono le notizie negative. A Roma alla fine si è parlato solo dei cortei degli antieuropeisti (per i rischi di infiltrazioni violente) e non di chi manifestava pacificamente a favore dell’Europa”.

Ma perché si è interrotto il sogno europeo di chi oggi ha 40-50 anni?
“Non credo che si sia interrotto. Penso solo che i cittadini vorrebbero che l’Europa parlasse ad una voce sola, e che si occupasse di più di temi (e problemi) come la gestione della ‘aree di vicinato’ e dei flussi migratori, oltre che di questioni economiche”.

Lei, con il suo gruppo, ha proposto nei teatri un musical ispirato all’Europa, alla sua storia, alle sue vicende (vedi qui). E ha coinvolto migliaia di giovani. Come hanno reagito?
“I giovani che abbiamo incontrato hanno risposto con entusiasmo. Vedete, io penso che il dilemma oggi per l'Europa sia ‘unirsi o morire’ e che l’unico modo per difendere i nostri valori (e i nostri interessi) sia quello di avere una Europa unita. Noi diciamo questo anche in musica, e così riusciamo a trasmettere delle emozioni. Da un lato invece i messaggi di nazionalisti e populisti cavalcano le paure, dall’altro gli europeisti si fermano ad un livello alto e troppo colto e rischiano di non coinvolgere affatto l’opinione pubblica. E tanto meno i giovani”.

Come le sono sembrate le celebrazioni di Roma? Non c’era un po’ di retorica, non le apparivano un po’ “fuori tempo”?
“Dieci anni fa, per il cinquantesimo anniversario, non c’era stata questa risonanza. Ora ci si rende conto che siamo ad un momento di svolta. E la maggioranza silenziosa, quella di chi crede ancora nell’Europa, ha trovato il modo di farsi ascoltare, anche attraverso tante iniziative diverse e originali. Insomma, non ci sono stati solo i riti comprensibilmente previsti dal protocollo”.

Oggi se dico “Europa” suscito spesso indifferenza o, peggio, noia e repulsione.
“Questo è solo quello che ci vogliono far credere quei media che privilegiano chi urla di più e chi se la prende con l’Europa. I sondaggi dimostrano che non è proprio così”.

Qual è stato il colpo più duro dal punto di vista dell’immagine, della comunicazione, per ll’idea d’Europa? L’uscita del Regno Unito?
“Lo sono stati anche la crisi in Grecia, la gestione dei conflitti in Nord Africa, nel Medio Oriente, in Ucraina. Sono state tante le occasioni perse dall’Europa intergovernativa. Attenzione però, questi errori non sono stati fatti dall’Europa comunitaria, che è quella rappresentata dal Parlamento Europeo e dalla Commissione. In passato è accaduto che personaggi come Spinelli e Monnet, che sognavano e progettavano l’Europa, abbiano avuto il sostegno delle più forti leadership nazionali. Oggi invece molti leader nazionali hanno la veduta corta, e inseguono un immediato consenso interno”.

Come dovrebbero avvicinarsi i giornalisti alle questioni europee?
“Con realismo, non inseguendo chi alza di più la voce. Ma certo sono anche evidenti le colpe dell’Europa, che ha ignorato alcuni grandi temi fondamentali per la gente”.

Avrebbe uno slogan per l’Europa, oggi, che possa coinvolgere anche i più giovani?
“E’ l’ora di fare l’Europa, come ha detto anche il Presidente Mattarella. Insomma, 'fatti gli europei è l’ora di fare l’Europa'. I ragazzi della generazione Erasmus, i Millennials, sono già profondamente europei”.

Ultima modifica: Dom 26 Mar 2017

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