La comunicazione (e l'ascolto) di Papa Francesco. Incontro a Loppiano con Dario Viganò

Francesco non riconosce ad alcuno il ruolo dell’opponente: ed è per questo che ognuno sente le Sue parole come rivolte a sé stesso”. Così mons. Dario Viganò (“Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede”, questo il titolo ufficiale) ha sintetizzato il segreto del successo comunicativo del Papa venuto dalla fine del mondo.

Era dedicata all’ascolto (“L’ascolto nelle dinamiche comunicative nella Chiesa di Papa Francesco”) la riflessione che Viganò ha tenuto, giorni fa, in quel di Loppiano (Figline Valdarno) presso l’Istituto Universitario Sophia: un seminario a invito, frutto della collaborazione fra il “Centro Evangelii Gaudium” (una costola della Università dei Focolarini) e la Rete Europea Risorse Umane. Riflessione che dovrebbe proseguire e a cui come associazione, ecclesiale e professionale, di comunicatori potremmo certo fornire elementi di concretezza.

Introdotti dal preside Piero Coda, una trentina di persone, fra cui molti giornalisti, si sono confrontati con il profilo dell’ascolto; bene edotti - non tanto dalla sottolineatura specifica di Viganò quanto dalla loro quotidiana esperienza anche di comunicatori - come troppo spesso la Chiesa (e non solo la Chiesa ...) “invece che ascoltare si parla addosso”. Ma consapevoli, i presenti, di quanto non sia semplice trovare “il linguaggio adeguato” per raccontare la Buona Notizia nel complicato contesto odierno.

Francesco ci riesce perché “usa un linguaggio comprensibile e familiare a tutti” ma soprattutto perché, appunto, rifugge l’assai praticato e abusato clichè del “nemico”, di colui davanti al quale ci si deve “opporre”. Francesco – scorro gli appunti dalla relazione di Viganò - “non crea antagonismi, non esprime giudizi; fa sentire che non siamo abbandonati, che Gesù è al nostro fianco”. E, almeno sul piano della comunicazione, e specie nei confronti di chi sta ai margini della Chiesa o ne è addirittura fuori, Francesco ha il successo che tutti sappiamo.

In molti, compresa Carmen Lasorella (“Il nostro è un mestiere straordinario, spesso non fatto come dovrebbe essere fatto”), ci siamo confrontati sull’ascolto. Fra le parole per me più convincenti quelle di Damiano Tommasi, presidente dell’associazione fra i calciatori italiani, con una risonanza calcistica attorno alle modalità comunicative del Papa (“Francesco arriva subito e segna”) e una sottolineatura sulla efficacia del linguaggio sportivo.

“Credo nella competizione – ha detto – ma credo soprattutto nella rivincita, nell’avere un’altra chance a disposizione, nel potersela rigiocare”. E ha fornito, Tommasi, un bell’esempio “familiare” di ciò che è (o meglio: dovrebbe essere) lo sport in rapporto all’etica. Ha raccontato la (evidentemente non brillante) prima partita di suo figlio, un bambino: partita a cui lui, il padre, non potè andare e dunque si informò per telefono sull’esito, sul risultato. “E’ andata benissimo, babbo, abbiamo vinto uno a zero. Per loro”.
Bello fosse vero. Bello fosse così.

Ultima modifica: Mar 25 Mag 2021