Il giornalismo 'combinato' e la passione di raccontare storie sui social e sul web

Si legge, si guarda, si ascolta e si naviga. Poi si condivide. Si può scorrerlo tutto d’un fiato oppure lo si può riprendere dal punto da dove ci si era fermati. Da qualche anno a questa parte i principali social network come Facebook, Twitter e Instagram, ma anche l’ultimo arrivato Snapchat e molti altri invitano gli utenti a usare le funzionalità che permettono di in mettere in sequenza i contenuti postati per aggregarli editando così storie.

Il racconto infatti anche sui social è un elemento importante perché crea una maggiore empatia fra i miei amici o follower. Al di là delle diverse funzionalità e differenze tra i social network un dato fondamentale è quello che arrivato a un certo punto della vita operativa delle “reti sociali” produttori e utenti hanno sentito il bisogno di non disperdere la mole di dati, video, foto, post e di aggregarli. Dunque ad un certo punto ogni utente è chiamato ad avere consapevolezza del processo ideativo, evolutivo e formativo di una storia che viene raccontata sui social media. Ciò fornisce un contributo in più all’editor del racconto: si affina la capacità di approfondimento e di elaborazione.

Già, perché mettere in sequenza una serie di contenuti è un po’ più complesso che scattare una fotografia e condividerla immediatamente oppure fare un tweet con una foto. Al contrario raccontare una storia sui social media significa immaginare il contenuto per poterlo condividerlo per esempio con un titolo, ritagliando e modificano una fotografia, scegliendo con un certo grado precisione quale taglio fare a una clip oppure quale Gif inserire.

Una delle esperienze di storie sul web, o se si preferisce, di web storytelling, nata al di fuori dei social media, nel 2012, è quella dei cosiddetti WebDoc. La definizione esatta è quella di "documentario interattivo ed ibrido per tecnologia, pensato per una fruizione su internet, detto anche web documentary o docuweb. “Il web-doc si presta a una partecipazione attiva dell'utente, che da fruitore si trasforma in partecipante attivo, che può scegliere il proprio metodo di fruizione e esplorare il documentario nelle sue parti secondo percorsi personalizzati e con i propri tempi”. (Wikipedia).

Nonostante questa definizione WebDoc è anche sinonimo di storytelling sul web che, in termini convergenti e cooperativi, aggrega e pubblica storie su fatti, personaggi, eventi attraverso contenuti tematici. Al riguardo molto interessanti sono le esperienze di WebDoc della Rai ( http://www.cultura.rai.it/webdoc/ ) oppure del quotidiano La Stampa ( http://www.lastampa.it/speciali/webdoc ) o di RaiNews ( http://www.rainews.it/dl/rainews/webdoc.html ), di Tv2000 ( www.tv2000webdoc.it ) o del Corriere della Sera ( http://www.corriere.it/speciali/docuweb/ ).

Negli Stati Uniti esperienze del genere sono quelle di Snow Fall del New York Times e di tante altre testate giornalistiche. Il fattore interessante è che queste esperienze sono la dimostrazione di una tipologia di giornalismo che potrebbe essere definito “combinato”, ossia frutto di contenuti di qualità che una volta combinati assieme e uniti da un filo conduttore (un menù, un testo, una serie di titoli, cover, etc,) tracciano e raccontano una storia.

Per realizzare un webdoc, però, occorre tempo e capacità di raccolta di informazioni, ricerca negli archivi, ma soprattutto un approccio diverso e meno superficiale ai social e al web content.

Ultima modifica: Sab 13 Gen 2018

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