Esiste ancora la 'par condicio'? Contenuto e limiti della legge 28/2000. Parte 1: le regole per la tv e non per la rete

All'inizio di questa campagna elettorale, su questo sito, avevamo posto attenzione alla normativa della 'par condicio', con particolare riferimento alle sue origini e ai suoi effetti (leggi qui). Abbiamo chiesto un contributo anche ad alcuni studiosi del diritto, che hanno approfondito la questione da un punto di vista 'tecnico'. Proponiamo dunque in tre parti e in anteprima un saggio di Francesca Biondi Dal Monte, ricercatrice di Diritto Costituzionale alla Scuola Sant'Anna di Pisa (a.r.)

In piena campagna elettorale, a quasi vent’anni dall’adozione della disciplina in tema di parità d’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (legge n. 28/2000), il dibattito sull’attualità e soprattutto sull’utilità delle previsioni in tema di par condicio sembra quanto mai centrale.

L’intervento del legislatore del 2000 nasceva in un contesto socio-politico del tutto peculiare, principalmente focalizzato, come noto, sulla comunicazione politica radiotelevisiva, in un regime nel quale si era essenzialmente formato un duopolio tra RAI e Mediaset, già Fininvest. Limitata è l’attenzione alla stampa e del tutto assente il riferimento ai nuovi mezzi di comunicazione.

La disciplina legislativa si collega alla necessità di regolare, durante la campagna elettorale, la partecipazione di partiti e cittadini alla propaganda politica e di garantire che ciascun elettore possa esprimere il proprio voto in modo libero e consapevole, grazie al pluralismo delle fonti di informazione. La legge differenzia gli strumenti e i tempi nei quali si sviluppa la comunicazione politica radiotelevisiva, da intendersi come «la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche». Se in via generale occorre sempre garantire il rispetto del pluralismo delle voci e delle opinioni, sotto il profilo temporale il periodo “chiave” per l’applicazione delle misure più rigorose in tema di par condicio decorre dalla data di convocazione dei comizi elettorali.

In generale la comunicazione politica radiotelevisiva si svolge nelle seguenti forme: tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in contraddittorio di candidati e di programmi politici, interviste e ogni altra forma che consenta il confronto tra le posizioni politiche e i candidati in competizione. La Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), previa consultazione tra loro, regolano il riparto degli spazi tra i soggetti politici (monitorati come noto anche a tempi di cronometro), ciascuna nell’ambito della propria competenza, ossia, rispettivamente, per il concessionario pubblico (provvedimento del 9 gennaio 2018) e per le emittenti private (delibera dell’Autorità n. 1/18/CONS del 10 gennaio 2018). Ai provvedimenti adottati dai due enti si deve far riferimento per la regolamentazione di dettaglio di ogni forma di propaganda prevista dalla legge in tema di par condicio (messaggi politici, disciplina dei programmi di comunicazioni politica e dei programmi di informazione, diffusione di sondaggi, ecc.).

Nessuna previsione della legge n. 28/2000 è dedicata a Internet e alla rete in generale, sebbene sia indubbio come oggi l’arena politica trovi nella rete una decisiva forma di sviluppo. Molti politici o persone note nel campo dello spettacolo hanno profili “social”, soprattutto su Facebook o Twitter, nei quali diffondono propri orientamenti e dichiarazioni di voto. Facebook ha addirittura inaugurato una sezione “Elections”, al fine di favorire la ricerca di elettori e i collegamenti tra i candidati (e successivamente gli eletti) e i cittadini.

Viene dunque da chiedersi se abbia un senso disciplinare con rigore la radiotelevisione e lasciare completamente libera la comunicazione via Internet. Al contempo, immaginare una possibile disciplina della par condicio sulla rete lascia un po’ smarriti, per la difficoltà di incasellare le forme della comunicazione, di individuare i soggetti obbligati (tutti gli utenti o solo i candidati? I siti italiani o anche quelli stranieri?) e di prevedere eventuali sanzioni.

Alla base della scelta di regolamentare o non regolamentare Internet in tempi di elezioni sta una precisa concezione della comunicazione in rete e dell’utente che vi accede.

Se la prima ipotesi si fonda sulla necessità di proteggere un utente che riceve passivamente le informazioni della rete, la seconda ipotesi confida nella varietà di informazioni a favore o contro una determinata tesi che la rete ha il pregio di offrire. Proprio l’astratta libertà di accesso a Internet sembra avvicinare questo strumento più alla stampa che alla radiotelevisione, le cui frequenze sono limitate e si fondano su un regime di concessione. In questa direzione sembra più opportuno rammentare l’importanza del pluralismo nell’ambito delle fonti di soft law, come linee guida o codici di autoregolamentazione della rete, la cui adozione potrebbe essere sollecitata proprio in tali delicati periodi elettorali, al fine di diffondere la cultura della pluralità delle voci e delle opinioni e il rispetto di esse ( 1 – continua domani )

* L'autrice è ricercatrice della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa

Ultima modifica: Gio 22 Feb 2018