La medicina dell'informazione. Intervista a Carlo Verna (OdG) sul rapporto tra giustizia e informazione.

Ecco un altro tassello della nostra rivista Desk che è dedicata, nel suo ultimo numero, al ‘Raccontare la Giustizia’. Oggi in #deskdelladomenica vi offriamo per una ri-lettura questa intervista di Vania De Luca (presidente nazionale dell’Ucsi) a Carlo Verna (presidente del nostro Ordine). Lo stesso Verna è intervenuto anche al dibattito che su questi temi abbiamo organizzato a Roma nei giorni scorsi (leggi qui).

Vania De Luca

Carlo Verna si occupa professionalmente di giornalismo sportivo, ma ha una formazione giuridica, è stato segretario dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, e da alcuni mesi presiede l’Ordine nazionale dei giornalisti.

Qual è, dal tuo punto di vista, lo stato di salute del rapporto tra giustizia e informazione?

Potrebbe essere migliore se emergesse la consapevolezza dell'importanza dei poteri di controllo in una moderna democrazia. I giudici esistono da sempre, a voler riconoscere al massimo l’anzianità del giornalismo, invece, si parte dal XVI secolo, ma questo non ne diminuisce il peso rispetto all’altro potere di controllo, che talvolta soffre la presenza dell’informazione. Mi fa molto piacere che nel corso di un recente incontro che abbiamo avuto insieme alla Fnsi col vice presidente del Csm Legnini ci sia stato detto come costituisca obiettivo dell’organo di autogoverno della magistratura l’emanazione di linee guida sulla comunicazione giudiziaria.

E quello tra giornalisti e magistrati?

Ricalca quello fra giustizia e informazione. I giornalisti sono soggetti come tutti i cittadini alla legge, ma anche la magistratura deve accettare in base all’articolo 21 della Costituzione le critiche dell’informazione. Registro con rammarico troppe querele di giudici e pubblici ministeri verso i giornalisti e alcuni colleghi mi segnalano anche entità di risarcimenti eccessivi. Devo aggiungere che, come abbiamo fatto notare con la professoressa Marina Castellaneta nel corso di un’audizione alla Commissione giustizia della Camera, malgrado la sentenza del 17 luglio 2008, Riolo contro Italia, che è costata una condanna per violazione dell’articolo 10 sulla libertà di espressione della Convenzione europea, non è stata apportata alcuna modifica legislativa che permetta di rispettare il dettato della Corte, secondo la quale le sanzioni pecuniarie ai giornalisti possono essere comminate solo tenendo conto delle “tasche” dello stesso operatore dell’informazione.

Perché nella convinzione di tante persone un avviso di garanzia, o un rinvio a giudizio, coincidono con un’idea di colpevolezza? È anche responsabilità dell’informazione?

È un argomento delicato. Non regolabile a priori. Tutti sono innocenti fino al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna. Ma i tempi del giornalismo non sono quelli della magistratura, così come ciò che è rilevante ai fini penali talvolta è diverso da ciò che interessa dal punto di vista sociale. L'inchiesta del pubblico ministero e quella del giornalista sono diverse, anche se possono avere in parte temi comuni. Cosa si può fare: noi giornalisti dovremo curare sempre più una sorta di deontologia del titolo, i magistrati autogovernarsi verso un minor protagonismo individuale e magari chi si occupa di pubblica istruzione pensare ad introdurre nelle scuole, come materia curriculare, l’educazione all’informazione.

Delicatissimo è anche il rapporto tra politica, giustizia, e informazione. Capita di frequente che un amministratore pubblico sottoposto a indagini subisca una forte pressione mediatica, per non dire una “gogna”. Se poi viene definitivamente assolto dalle imputazioni il rilievo mediatico è scarso o nullo, ma la carriera politica rischia di essere compromessa per sempre. Perché questo accade? È un tradimento dei principi dello Stato di diritto? C’è una responsabilità del sistema informativo?

Vale un po’ quel che dicevo prima, ma qui c’è un ostacolo in più. C’è un altro soggetto in campo. Pronto a mestare per avvantaggiarsi della gogna altrui: l’avversario politico. E allora dobbiamo passare la palla. Non può essere il giornalismo a risolvere i problemi della politica.

Parlando di Giustizia viene alla mente la cronaca giudiziaria, ma non c’è solo questa. Pensiamo ad esempio al filone dei reati e degli illeciti ai danni dell’ambiente... Quanto può essere importante la funzione dei giornalisti per il controllo del territorio, per la denuncia di quello che non va, anche prima che arrivino, se è il caso, le forze dell’ordine o la magistratura? Emblematici i casi dell'Ilva di Taranto e della Terra dei Fuochi, o le inchieste sui traffici illeciti di rifiuti.

Ho parlato di Terra dei fuochi anche durante la conferenza stampa di fine anno che l’Ordine dei giornalisti organizza col Presidente del Consiglio. A prescindere dalle iniziative giudiziarie, spero che cresca la nostra attenzione verso le questioni dell’ambiente. È l’eredità che lasciamo alle future generazioni, dobbiamo esserne consapevoli. Come sempre, rappresentando tutti i punti di vista, quando esigenze rilevanti vanno in contrasto fra loro, ed esemplare è il caso dell’Ilva di Taranto. I giudici applicano nel caso concreto le leggi, che però talvolta vanno interpretate, talaltra sono in contraddizione fra loro. A mio giudizio il diritto alla salute prevale su tutti gli altri: come si dice, primum vivere.

In Italia ci sono 19 giornalisti sotto scorta e per altri 167 sono state disposte misure di vigilanza. Tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2017 ci sono stati 90 episodi di intimidazione ai danni di giornalisti e operatori dell’informazione. I più esposti sono i giornalisti precari, senza contratto e privi di tutele e garanzie. Come interpretare questi dati?

Dati preoccupanti, rispetto ai quali la risposta non può essere lasciata solo alle forze dell’Ordine e alla magistratura. La categoria deve farsi carico con solidarietà e passione verso il concetto di libertà di stampa della cosiddetta “scorta mediatica”, che consiste nel tornare in tanti su quei luoghi e parlare di quei fatti che hanno determinato le minacce al collega. Nessuno va lasciato solo, ai cittadini non può essere sottratto un pezzo del loro diritto di sapere. Ma sarà possibile solo con una risposta collettiva.

L’aggressione, a Ostia, a una troupe Rai, lo scorso novembre, e quella a una collega Rai a Bari hanno impressionato l’opinione pubblica, ma si è trattato di un fatto eclatante e sotto l’occhio di una telecamera, mentre ci sono episodi di minacce e intimidazioni che non emergono. Per monitorare il fenomeno delle minacce ai cronisti e mettere a punto le opportune misure di tutela è recentemente nato uno specifico coordinamento tra istituzioni (Ministro dell'Interno e Capo della Polizia) e organismi di categoria (Fnsi e Ordine dei giornalisti). Tu hai personalmente partecipato al tavolo. Cosa è finora emerso e quali obiettivi vi siete dati?

Certo, a Ostia e a Bari la forza delle immagini ha dato evidenza a un fenomeno molto più diffuso, come dicevamo. E allora si è messo in moto un meccanismo virtuoso di contrasto, che va sviluppato. Il centro di coordinamento per la sicurezza dei giornalisti è il primo del genere in Europa. Abbiamo oggi un collegamento diretto col Viminale, per cui, dopo la denuncia, i giornalisti possono contattare gli enti di categoria sapendo che c’è un filo diretto col Viminale. Non è poco, ma purtroppo non è una panacea.

I giornalisti sono mediamente preparati per affrontare le problematiche che coinvolgono dei minori? (Penso, ad esempio, al bullismo o al cyberbullismo).

La formazione permanente continua serve proprio a questo: come può un giornalista di mezza età essere specificamente preparato a cose che, quando ha cominciato a lavorare, neanche lontanamente potevano essere immaginate, come il cyberbullismo? Ma qui il discorso si allarga a quel mare di libertà e di rischi che è il web. E l’allarme riguarda soprattutto i centri educazionali, che rischiano di essere scavalcati dalla comunicazione diretta, possibile con Internet e i social. Andiamo, allora, evidentemente molto oltre la domanda posta.

La credibilità dei giornalisti risente del fenomeno delle fake news (tra le quali viaggiano anche molte truffe, soprattutto online)? Esistono ambiti di formazione specifica per i cronisti che si occupano di giustizia?

Troppe cose finiscono col giornalista coinvolto quando ha responsabilità e anche quando non ne ha. Va spiegato che le fake in massima parte non sono un prodotto del giornalismo professionale. L’operatore dell’informazione è chiamato, però, a moltiplicare l’attenzione nella validazione delle fonti e la cura nella verifica della notizia. Le bufale sono sempre esistite, ora a far paura è la velocità con cui il loro sviluppo è possibile. Se le fake sono la malattia, i giornalisti devono essere col loro lavoro la medicina.

nella foto: il tavolo del confronto organizzato dall'Ucsi a Roma l'11 giugno all'Associazione Stampa Estera. Ci sono anche Carlo Verna e Vania De Luca, seduti accanto a Francesco Minisci, presidente dell'Associazione nazionale magistrati.

Ultima modifica: Ven 15 Giu 2018