Lezioni di salvataggio dalla Grotta thailandese

Sono tornati sani e salvi. La squadra di calciatori che, in soli diciotto giorni, si è guadagnata il più grande tifo del mondo (da chi neanche ne conosce il nome) ha conquistato la partita più difficile. Biciclette e scarpini erano stati ritrovati ancora appoggiati all’ingresso delle grotte di Tham Luang, osservati dal cartello che intima a chiunque, nella stagione dei monsoni, di non addentrarsi oltre.

Il salvataggio compiuto a Mae Sai. Telecronaca di un dramma. L’informazione che si catapulta in superficie e l’azione che si compie a telecamere spente. Una sfida all’estremo con noi, qui impotenti, aggrappati agli aggiornamenti di agenzie e social col fiato sospeso nel cronometro claustrofobico dei soccorsi. Fuori la pioggia, come la serie Rain in onda su Netflix, che si fa nemica.

Sino a quando, avanzando per quattro chilometri dall’ingresso e a circa mille metri di profondità, non abbiamo visto un faro, puntato nella notte, che all’improvviso ha rivelato i volti di un piccolo gruppo di ossuti. La vita di dodici ragazzi aggrappata alla roccia. Una sequenza che intrappola il respiro. Da quel momento, l’attesa di rivederli ancora. La forza dell’immagine. E il potere della parola.

Fiammella, calata in profondità, capace di illuminare di speranza la Grotta. Dove mancava l’ossigeno, ecco nelle lettere scambiate con i genitori, donare quel respiro degli affetti che soffia, sul viso affamato dei ragazzi, donando un senso a quella lunga attesa. La comunicazione, nell’era dei controllori globali, torna alla sua forma originale più semplice e connettiva. Come il tablet serrato da una madre. Sono vivi! Eccoli, ritratti nel riquadro digitale, emergere in superfice e rassicurare, sino alla loro liberazione, il mondo di sopra.
E qualche giorno dopo, dal buio incubo della grotta eccoli rivederli nel bianco accecante di un ospedale. Sani e salvi.

La parabola dell’allenatore imprudente che chiede scusa e fa squadra - e meditazione - con i ragazzi. Il coraggio e la forza, quasi inesauribile, della vita. Quante lezioni in questa storia claustrofobica. Come la dimostrazione di quanti hanno rischiato la vita (e il soccorritore thailandese volontario Saman Kuan l’ha persa) dal Giappone, Stati Uniti, Cina, Inghilterra e Australia. Per ricordarci, anche nelle profondità del Mediterraneo e delle nostre coscienze, che la solidarietà non ha nazione.

L'autore, Fabio Bolzetta, è giornalista e conduttore di Tv 2000. la foto è tratta da Tv 2000

Ultima modifica: Gio 12 Lug 2018