Il difficile mestiere del vaticanista. Incontro Ucsi a Trieste

Fare il vaticanista è un mestiere assai complesso. Almeno tanto quanto la realtà che deve raccontare. Giovedì scorso, 9 novembre, davanti ad una quarantina di giornalisti, Riccardo Cristiano – giornalista ed ex coordinatore del pool di informazione religiosa del Giornale Radio Rai, vaticanista su Formiche.net, Vatican Insider e scrittore – è intervenuto a Trieste all’incontro di formazione “Il vaticanista e i suoi doveri”.

Ha offerto uno spaccato interessante, con spunti ed esempi tratti dall’attualità (il caso di Asia Bibi, il caso Vatileaks 1 e 2, il rapporto Viganò ecc.), su una professione e un movimento – il vaticanismo – nato ben otto pontificati fa. Il tutto a partire da due domande fondamentali: ha senso ancora oggi la figura del vaticanista? E ancora. Esiste un modo pericoloso per comunicare il Vaticano?

«Per comunicare qualcosa bisogna necessariamente sapere ciò di cui si sta parlando. Non si può parlare in termini accademici senza conoscere, ma parlare in termini fattuali» ha spiegato Cristiano. «Comunicare il Vaticano non equivale a comunicare la Chiesa italiana e strutturare una redazione di informazione religiosa è un’esigenza sottovalutata. La figura di un “chiesista” potrebbe giocare un ruolo importante». Si tratta, in sostanza, per lui, di «attrezzarsi a cogliere il senso di quanto accade e a darne informazione». E in questo senso il vaticanista può essere ancora una figura importante: «purché non faccia da semplice ripetitore del Vaticano. Un vaticanista deve dare conto della complessità delle voci in ogni situazione e non può fermarsi a riportare solo la voce ufficiale, perché il Vaticano non è il mondo delle religioni».

Un’importante sottolineatura sul proliferare di blog, newsletter e altre fonti non ufficiali di informazione – specialmente nel passaggio tra il pontificato di Benedetto XVI e Francesco - ha suggerito come si sia «imboccata una strada pericolosa, in cui l’urlo più forte vince. Ciò produce una diminuzione degli spazi di ricerca e analisi e fa sì che il giornalismo diventi di parte. Mentre la nostra professione dovrebbe porre sempre delle domande». Ecco, quindi, una riflessione sulla realtà dei vaticanisti: «Se ci fossero stati meno giornalisti formati nelle associazioni ecclesiali, ci sarebbero stati molti tecnicismi in meno e ci sarebbe stata una giusta distanza nel raccontare i fatti».

Infine una consapevolezza sulla questione degli editori: «In troppi di loro cercano l’immediatezza della conferma – il riscontro in like o click – e ciò mette sotto stress i giornalisti che sono indotti all’errore. C’è un meccanismo che schiaccia i colleghi al di là delle responsabilità. Ma poi ci sono anche le responsabilità e, scegliendo di far parte di un certo meccanismo, i colleghi sanno che dovranno comportarsi di conseguenza».
Resta la sfida del saper comunicare in modo accessibile, affinché «l’iniziaticità dei linguaggi non allontani il pubblico dalla possibilità di interpretare la realtà».

Foto di archivio: un recente incontro di papa Francesco con i giornalisti

Ultima modifica: Dom 11 Nov 2018