Il giornalista, i social, l'etica del racconto. Confronto a Piacenza con l'Ucsi Emilia Romagna

Giornalisti che sfruttano poco le potenzialità della rete internet, ingegneri che la sfruttano anche troppo per fare business. Giornalisti che usano le parole come pietre, giornalisti che usano le pa-role come ponti. Si è dipanato lungo queste direttrici il seminario “Deontologia, giornalismo e social network. Non una rete di fili ma di persone: la comunità dei lettori” promosso dall’Ufficio comuni-cazioni sociali della diocesi di Piacenza-Bobbio, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna e l’Ucsi Emilia-Romagna.

Quattro relatori “tecnici” oltre al vescovo Gianni Ambrosio si sono alternati negli interventi.

“Le aziende hanno la capacità di indirizzare gli studi delle neuroscienze per massimizzare l’attenzione delle persone - ha esordito Paolo Rossetti, ingegnere esperto di sistemi informativi e gestionali -. Ci vuole un’informazione corretta per far sapere queste cose, e solo voi giornalisti la potete dare”. Con etica, responsabilità e professionalità. “Potreste usare in modo saggio i social media: anziché rendere forti le piattaforme esistenti abitandole, perché non ne create una voi stessi?”.

Una provocazione?. Vedremo. Di certo, “i giornalisti non si limitano più a dare le notizie ai lettori, ma le ricevono. Io uso i social come fonte primaria - Twitter è il principale in ambito sportivo -, co-me canale di diffusione e come mezzo di interazione”, ha raccontato Claudio Lenzi, social media editor e curator della Gazzetta dello Sport.

E poi ci sono le parole: “Per il nostro mestiere sono fondamentali - ha ricordato Chiara Genisio, presidente Ucsi Piemonte - e possono portare anche alla morte, come nel caso di Daphne Galizia, giornalista maltese uccisa nel 2017, o a rischiare la vita come per Paolo Borrometi, collega di Tv2000 che vive sotto scorta. Sta a noi scegliere ogni giorno se usare le parole come pietre o co-me ponti”. Esiste già un ‘Testo Unico’ dei doveri del giornalista “ma presi dalla fretta spesso lo dimentichiamo. Ecco perché una Carta come quella di Assisi può aiutare”.

Gli ha fatto eco fra Giovanni Ruotolo, domenicano, con un passato recente da cronista di crona-canera e giudiziaria: “Quando mettiamo nomi sul giornale, stiamo mettendo vite. Lo sguardo mise-ricordioso c’è anche per chi ha commesso reati gravi”. Ruotolo lo ha capito poco alla volta: “All’inizio mi interessava portare a casa la notizia con quel dettaglio in più che potesse farmi nota-re. Poi ho sentito questa cosa come un peso. Oggi credo che i miei migliori articoli siano quelli che non ho scritto”.

Nella foto (de "Il Nuovo Giornale") alcuni dei relatori

Ultima modifica: Lun 4 Feb 2019