La difficoltà di fare giornalismo investigativo oggi in Italia (e il 'caso Casamonica'). Iniziativa (e AperiDesk) di Ucsi FVG

Una sala gremita di giornalisti ed un clima di ascolto, oltre che di grande interesse, hanno accompagnato l’incontro di formazione su “Deontologia, pericoli e prassi del giornalismo investigativo – il caso Casamonica” promosso dal Centro Culturale Veritas di Trieste in collaborazione con Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia, Libera, Articolo 21, Dom e Novi Glas (periodici di lingua slovena), Ucsi Friuli Venezia Giulia con il supporto di Civiform e il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia presso la scuola Civiform di Cividale del Friuli (Udine).

«In un tempo in cui sono saltate tutte le regole, parlare di deontologia è un compito da arditi, e proprio per questo bisogna ristabilirle, richiamarle e rispettarle» ha affermato mons. Marino Qualizza, direttore di “Dom” giornale di lingua slovena, che, impossibilitato ad essere presente, ha inviato un messaggio scritto per l’occasione.

«L’esercizio della nostra attività (giornalistica, ndr) richiede anche una filosofia in base alla quale valutare la realtà che vediamo e in cui viviamo, altrimenti ci fermeremmo a fare delle fotografie impersonali, che attendono invece una presentazione anche estetica e di valore. [...] Il tutto, ovviamente, deve partire dal rispetto della realtà osservata, che non può essere né scontata né inventata. Gli esempi si possono moltiplicare non tanto sulla carta stampata, ma sul web.

In questo senso l’esercizio del giornalista, oggi, ha acquisito un nuovo valore ed una nuova dimensione: educare al senso critico [...] il nostro quindicinale Dom è sorto come voce di una comunità linguistica fortemente discriminata, anche al giorno d’oggi, per una serie di motivi[...] Il nostro compito non è investigativo, ma propositivo di una presa di coscienza che aiuti gli abitanti della Benecìa – Le Valli, ad avere il senso della loro identità di Sloveni cittadini italiani. [...] È vero, molti pregiudizi sono caduti, ma resta ancora una resistenza, non sempre passiva, a riconoscere a tutti i diritti costituzionali e ad esercitarli. [...] Ci vogliono i fatti e la possibilità di usare la nostra lingua, come avviene a Gorizia e a Trieste [...]

L’impegno della nostra redazione è di denunciare questa stagnazione e aprire le menti, soprattutto dei vertici, ad una cordialità e condivisione culturale ed umana, portatrice di benefici per tutti. Si tratta di formare una coralità che, a più voci, canta la stessa melodia dell’incontro e del rispetto reciproco».

Quindi, dopo l’introduzione di padre Luciano Larivera, direttore del Centro Veritas di Trieste, nella quale sono state ricordate le peculiarità del giornalismo investigativo - «un giornalismo che richiede tempo, impegno, attenzione ai propri archivi, controllo delle proprie fonti ufficiali e, soprattutto, confidenziali, tutela della dignità delle persone... un giornalismo che riguarda ciò che non si vuole che si sappia, un giornalismo che può anche lavorare sotto copertura, ma mai per i servizi segreti... un giornalismo che ha il compito finale di divulgare e di promuovere la credibilità dell’Ordine, ma anche un giornalismo che ha costi elevati e richiede aggiornamento e formazione continua, oltre che un lavoro da fare in team» - la parola è passata a Floriana Bulfon, giornalista d’inchiesta di origine friulana recentemente oggetto di nuove minacce, autrice del libro “Casamonica, la storia segreta. La violenta ascesa della famiglia criminale che ha invaso Roma”.

«Non viviamo in un Paese che valorizza il giornalismo investigativo» ha affermato in apertura «oltre allo strumento delle minacce dobbiamo ricordare la questione delle querele temerarie che si traducono in anni di cause giudiziarie che poi, in caso di successo, non si concretizzano in un risarcimento per quanto subito. Considerando poi che la professione è esercitata soprattutto da freelance, il problema è ancora più forte».

Anche Bulfon ha sottolineato come «la libertà di stampa non sia un diritto acquisito una volta per tutte, ma va protetta facendo squadra e utilizzando lo strumento della scorta mediatica», riprendendo, quindi le inchieste fatte dai colleghi. «Spesso i giornalisti raccontano situazioni e realtà ancora prima che il “resto del mondo” se ne accorga» ha continuato «la paura di fronte alle minacce esiste, ma non ci tiriamo indietro perché percepiamo che stiamo andando nella direzione giusta. E a chi mi dice che sono una persona di grande coraggio o quasi eroica rispondo che sono una persona normale che fa semplicemente il proprio mestiere». Un ampio spaccato, quindi, è stato offerto sul clan Casamonica, sulle modalità di infiltrazione, ma anche sui segni esteriori (abbigliamento, Rolex, ostentazione della fede, stile di vita ecc.) che li rendono riconoscibili e ne determinano lo status cui molti, purtroppo, si ispirano grazie anche ad un ampio uso dei social media (in particolare di Instagram).

Puntuale l’invito a non pensare che i Casamonica, come altri gruppi criminali e mafiosi, siano limitati a determinati territori: anche il Friuli Venezia Giulia, in questo senso, non è esente da infiltrazioni (Budoia - Pn, pizzerie e depositi costieri di combustibile a Trieste, casino sloveni appena oltreconfine...). Da sorvegliare sempre il settore dello smaltimento dei rifiuti, dei reati ambientali, ma anche quello delle aziende in crisi che, a fronte di un rapido risanamento, possono trovarsi in poco tempo ad essere realtà di riciclaggio o spazi che rubano all’economia legale.

Ampio il dibattito seguito all’AperiDesk, delizia per la vista ed il palato allestito dagli studenti di Civiform, segno di una consapevolezza che il giornalismo investigativo con le sue regole e i suoi pericoli è percepito come fronte di impegno e di necessario sostegno da molti giornalisti.

fvag2

Ultima modifica: Mar 28 Mag 2019

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