'Il giornalista è un uomo politico, un liturgo della comunità umana' dice il vescovo di Palermo all'iniziativa di Ucsi Sicilia-Odg

“Il giornalista è uomo politico, nel senso più bello del termine. La sua missione è la verità. E c’è una simpatica analogia con la figura del prete: anche la nostra missione è la ricerca della verità». E ancora: «C’è bisogno di uomini e donne libere anche in un’epoca in cui si cerca il “like” via social. È necessaria una scelta di campo, essere testimoni e martiri di verità».
Sono soltanto alcuni dei passaggi dell’intervento dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, alla sede dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia.

Una visita coincisa con la cinquantatreesima Giornata delle comunicazioni sociali, durante la quale si è svolto un incontro di formazione dal tema “Siamo membra gli uni degli altri”. Tra gli argomenti dell’incontro, la riflessione sul messaggio di Papa Francesco: «Siamo membra gli uni degli altri. Da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti».

Tra i relatori, oltre a monsignor Lorefice, Giulio Francese, presidente Odg Sicilia, don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter, Giuseppe Rizzuto, segretario provinciale Assostampa, Michelangelo Nasca, presidente Ucsi Palermo, Domenico Interdonato, presidente Ucsi Sicilia, rappresentata anche dal membro della giunta nazionale Ucsi Salvatore Di Salvo, che è anche presidente provinciale di Siracusa.

A introdurre e coordinare i lavori Pino Grasso, direttore dell’ufficio comunicazioni sociali. Durante la giornata, gli interventi sono stati seguiti in diretta streaming a beneficio dei colleghi di Messina e Siracusa. Nel corso del suo intervento don Fortunato Di Noto ha evidenziato come internet abbia «cambiato le storie degli uomini e della società. Percepisco che questo mondo sta letteralmente cambiando l’uomo, anche sul piano della fede. Sean Parker, tra i fondatori di Facebook, diceva che noi abbiamo una grande responsabilità che non abbiamo capito prima. Non abbiamo compreso cosa sta modificando nei cervelli dei bambini il mondo digitale».

Don Di Noto ha poi proseguito con una serie di riflessioni che hanno stimolato la curiosità dei presenti: «Abbiamo abbattuto certamente dei muri. Internet non ha favorito il giudizio, ma ha amplificato il cattivo giudizio. Il web è una grande comunità anarchica, composta da singoli gruppi anonimi sparsi in tutto il mondo. Le sue dimensioni sono sovrumane. La dipendenza da internet sta diventando una patologia seria. Il transumanesimo è la sfida incontrollabile del futuro dell’umanità. Vale la pena, come dice il Santo Padre di “evangelizzare sul web”. Dietro un contatto c’è una storia umana. E se qualcuno inventa un profilo virtuale, anche là dietro c’è una persona. Il virtuale è reale».

Dal canto suo, Giulio Francese, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sicilia, ha focalizzato l’attenzione «su tanti spunti di riflessione, anche preoccupanti. Don Di Noto chiama alla responsabilità di tutti, e in particolare di noi giornalisti. Ci tenevo ad accogliere don Corrado nella nostra sede, casa dei giornalisti siciliani, che è anche un luogo simbolo della lotta alla mafia. Qui oggi dialogano i giornalisti e si dialoga anche della responsabilità dei giornalisti. Il Santo Padre è un grande comunicatore e ha spesso parlato del nostro ruolo, in un periodo in cui la stampa è spesso oggetto di intimidazioni, in alcuni casi di attentati, di querele temerarie.

Il Papa ha più volte sottolineato la nostra responsabilità, è quello che proviamo a fare anche attraverso corsi come questi, pure di fronte alle foto dei nove giornalisti siciliani uccisi. Nel messaggio dello scorso anno Papa Francesco paragonava le fake news a “un virus che si diffonde nella rete”. Noi giornalisti ci sentiamo ancora custodi della notizia? Il Santo Padre ci ha detto che svolgiamo non solo un mestiere, ma anche una missione. I social rischiano di essere una minaccia. È un’epoca difficile quella che stiamo vivendo, non abbiamo capito - come evidenziava don Fortunato - il cambiamento rappresentato da internet. Siamo in ritardo e ne stiamo pagando le conseguenze. Mi vengono in mente le parole di Papa Francesco al Consiglio nazionale dell’Ordine di tre anni fa: “vivere con professionalità, comprendere e interiorizzare il nostro lavoro, difendere la dignità umana”. Una grande lezione di vita e di deontologia».

Il concetto di verità ha avuto la sua centralità nell’intervento di Giuseppe Rizzuto, segretario provinciale Assostampa: «I principi della professione giornalistica vengono ripresi dalla lettera del Papa. Sa di cosa parla, richiama il Vangelo, “siamo membra gli uni degli altri”. Dice cose comprensibili anche ai non cattolici. Il nostro Ordine prevede la collaborazione gli uni con gli altri. I nostri orientamenti deontologici spesso coincidono con quanto afferma a riguardo la Chiesa. Gesù dice “il vostro parlare sia sì sì, no no”. Anche i giornalisti devono rifuggire da ogni ambiguità. Il Concilio Vaticano II, e nello specifico il documento Inter mirifica, definisce neutrali gli strumenti dell’informazione. Compito dei cristiani è interpretarli e utilizzarli come strumenti di comunicazione di massa. Nel ’63 il Concilio indica l’importanza di “associazioni professionali e codici”. È lo stesso anno della legge istitutiva dell’Ordine».

Infine, l’intervento dell’arcivescovo monsignor Corrado Lorefice: «Voi giornalisti avete il coraggio e la fatica di comunicare. E non da soli, non da battitori liberi. Questa vostra esigenza dice l’essere della vostra missione. Il contenuto del messaggio del Papa di quest’anno parte dalla moderna sfida della comunicazione affrontata già al Concilio. Quelli sono anni in cui la Chiesa inizia a guardare con simpatia al mondo moderno, visto non più come l’avversario. La chiesa intuisce che ci sono valori altissimi umani che corrispondono agli altissimi valori evangelici. Ecco perché si osa guardare alla comunicazione sociale. C’è una svolta, è la Chiesa che viene dal mondo antico, direi dall’Ancien Regime, con una preoccupazione: come mettere insieme verità e libertà? La grandezza dell’uomo è essere capace di questo. La verità nel cristianesimo non è un’astrazione, ma una persona, Cristo».

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Monsignor Lorefice, che a margine dell’incontro ha anche ricevuto la tessera onoraria dell’Ucsi Sicilia,in occasione delle celebrazioni del sessantesimo della costituzione dell’Ucsi, ha concluso con una sua valutazione sulla figura del giornalista: «Il giornalista è un uomo politico, nel vero autentico senso del termine. Di questo dobbiamo avere maggiore consapevolezza. I giornalisti, uomini e donne, sono liturghi della comunità umana. La parola liturgia può sembrare astratta, sa di incenso e riti ecclesiastici. Ma il termine deriva da “luoghi degli affari pubblici” e “opera”. Per me voi siete liturghi, come i preti avete una grande responsabilità. Ci possono essere liturghi consapevoli e veri e altri che camminano nella falsità e nella perdizione. Questo vale anche per noi preti. Abbiamo un mandato: costruire il bene nella comunità. Dobbiamo alzare verso il cielo questa casa comune.

Abbiamo bisogno di animatori della casa comune, voi giornalisti avete una grande responsabilità. C’è bisogno di uomini liberi. Non può essere libera la comunicazione oggi, perché ci sono i grandi poteri e localmente altri poteri più piccoli. Occorre la vocazione all’autentica libertà. Essere liberi ha un costo, specie oggi che si va verso il “like”, anche in politica. Ma bisogna essere testimoni e martiri di verità. Siete anche ermeneuti della storia. Dunque bisogna fare una scelta di campo. La storia, di solito, la scrivono i vincitori. Invece la storia vera è scritta dal basso, dai vinti. Nel suo Lo sguardo dal basso, scritto nel 1942, arrestato nel ’43, Dietrich Bonhoeffer sostiene: “Resta un’esperienza di incomparabile valore l’avere imparato a vedere dal basso i grandi avvenimenti della storia del mondo. Nella prospettiva dei sofferenti. Pur mettendo in guardia dal trasformare questa prospettiva dal basso in uno schierarsi con gli eterni scontenti”. C’è una presa di posizione da fare. Il singolo, la parola, è scollata da ciò che deve significare. Una delle parole più bistrattate è amore. Spesso ci si coinvolge e ci si compromette, tradendo la storia dal basso. È il peccato, non detto in senso moralistico. Qui non si fa distinzione tra cattolico e non cattolico. Smettiamola di fare distinzioni. Già se siamo qui è un segno. Oggi è tempo di faticare, forse altri raccoglieranno i frutti dei nostri sforzi. Dobbiamo avere l’audacia della fatica”.

Ultima modifica: Lun 3 Giu 2019