Come cambiano le relazioni e il lavoro, il nuovo AperiUcsi online

Giovedì 16 aprile Ucsi Fvg ha vissuto il suo secondo appuntamento con AperiUcsi online. Questa volta proponendosi di condividere possibili progetti o prospettive in vista della “Fase 2”, di riflettere insieme sull’uso di videochat e videoconferenze in questo tempo di pandemia e per dirci come stiamo vivendo la modalità smartworking nella nostra professione.

In generale c’è un forte desiderio per tutti di riprendere le relazioni perché incontrarsi è qualcosa che costruisce sempre molto. Non mancano i timori per una ripresa che sicuramente sarà diversa dal “prima” e nella quale, probabilmente, incontrarsi sarà ancora difficile e dovremo fare i conti con la diffidenza nell’avvicinarci l’uno all’altro. C’è chi fa più fatica a progettare e chi meno. C’è chi in questo tempo di “clausura” ha riscoperto il tempo dell’orto come strumento prezioso per vedere quanto serve per crescere e sbocciare... e comunque inevitabilmente per molti lo sguardo è puntato sulla quotidianità e sull’esigenza del prendersi cura delle piccole o grandi comunità (familiari o religiose) che gli sono affidate.

Prima di poter progettare per qualcuno è importante leggere molto e lavorare per scenari, ipotizzandone alcuni e provando a capire le tattiche (prima ancora delle strategie) per poterli abitare. Si tratta, saggiamente, di attivare dei processi cercando di offrirsi vicendevolmente spunti e sollecitazioni che possano creare motivazioni congiunte. In questo senso il giornalismo cattolico può restituire molto sul senso di comunità. Perplessità sono emerse riguardo all’effettiva possibilità per gli studenti di accedere alle lezioni online: un’accessibilità che si dà per scontata, ma non lo è – i dati Istat parlano di 1/3 delle famiglie italiane che non possono far seguire le lezioni online ai propri figli con regolarità - e quindi emerge una questione di mancanza di democrazia.

E poi l’aspetto, non secondario, dell’avvio della “Fase 2” senza aver pensato ad adeguate misure a sostegno delle mamme lavoratrici. Tutto va riletto, da qui in poi, alla luce della crisi Covid-19 se si vuole ragionare nella realtà che avremo in mano. E sarà necessario pregare molto per le istituzioni europee affinché possano prendere le decisioni più opportune per il “dopo” senza lasciare per strada i più deboli. In tutto questo qualcuno suggerisce che vi sono tante domande che dovrebbero abitarci e che, pur con tutte le criticità, bisogna riconoscere che la rete è veramente un dono. La lettura dei giornali in questo periodo fa emergere come sia completamente saltata la gerarchia delle notizie e questo è un fatto che dovrebbe farci riflettere, anche alla luce di quanto ci ha suggerito Papa Francesco nel corso dell’udienza all’Ucsi dello scorso settembre. La “Fase 2” inoltre suggellerà definitivamente la consacrazione del precario nella professione giornalistica.

Un’ampia fetta del dibattito online si è però concentrata sulla capacità comunicativa delle nostre comunità cristiane – nel dibattito sociale, tra l’altro, quanto siamo capaci di portare un’impronta cristiana? - e sulla sovraesposizione di Messe e Rosari in questo periodo. Ci si è chiesti, anche a partire da un articolo di Giuseppe Savagnone (vedi qui), se davvero la Chiesa ha saputo essere presenza o non abbia puntato semplicemente sulla visibilità... la sfida sarà capire quanti, dopo la fine delle restrizioni, torneranno davvero alle celebrazioni in presenza. Forse gli esperimenti delle celebrazioni online possono essere utili per i più giovani, ma per chi ha una certa età non è davvero la stessa cosa.

Videochat e videoconferenze vanno bene, ma fino ad un certo punto: la sovraofferta rischia di stordire. Critiche, infine, sono state espresse verso l’utilizzo del mezzo televisivo in questo tempo di pandemia: tante voci sono sparite dai palinsesti, gli ospiti sono sempre gli stessi e pure le domande... e si teme che certe voci siano state messe a tacere perché scomode e, alla pari, che la medicina possa venire politicizzata perché da essa la politica si attende delle certezze che la medicina stessa in questo momento non può dare.

Lo smartworking? Sì, purché non si perda di vista la peculiarità del giornalismo come professione che ha bisogno di “scarpe consumate”.

Ultima modifica: Gio 23 Apr 2020