I giornali locali sono come i 'microclimi'. Raccontano i territori, la loro storia e la memoria. Incontro Ucsi-Fisc in Piemonte

I giornali di carta sono destinati a scomparire sotto l'incedere dell'informazione on line? Quale può essere il futuro dei giornalisti nell'era di facebook, twitter, you tube, mezzi che "saltano" l'intermediazione, i filtri, il lavoro di chi si occupa di notizie e informazioni?

Sono alcune delle domande su cui ci si è confrontati durante l’incontro formativo promosso dal settimanale diocesano novarese con Fisc Piemonte e Ucsi Piemonte a Borgomanero.

"E' necessario chiederci se e fino a quando la ‘tartaruga’ dei media tradizionali riuscirà a tenere a debita distanza il velocissimo Achille della comunicazione on line", ha esordito Gianni Dal Bello, direttore UniversiCà- Museo Meina e giornalista. I dati delle vendite dei quotidiani dicono che la minaccia incombe ,anche se il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla è meno pessimista: "Non è la prima volta che il sistema dell'informazione e della comunicazione si trova a fare i conti con una rivoluzione. Guardando al passato è già accaduto nel 1455 quando Gutemberg inventò la stampa e fece uscire la Bibbia a 42 linee in caratteri gotici. I vecchi manoscritti non sparirono immediatamente, anzi ci fu un lungo periodo di coesistenza tra il vecchio e il nuovo sistema". Quindi? "Non preoccupatevi: abbiamo davanti ancora almeno 50 anni di lavoro basato sulla complementarietà tra le diverse forme espressive dei media on line e quelle dei media tradizionali". I

nsomma, la vecchia, gloriosa carta stampata non è morta come da anni si preconizza e c'è da giurare che venderà cara la pelle, visto che al suo arco le frecce non mancano.
Ma guai a dormire sugli allori. E' necessario guardare dentro la comunicazione nei social network; scavare a fondo, capire cosa sta dietro e dentro il fenomeno delle "fake news". Gianni Dal Bello ha rivelato come, ancor prima delle elezioni americane e del referendum sulla Brexit, proprio in Italia sia stato scoperto un network di siti italiani dedicato alla diffusione di "bufale": "170 domini che diffondevano contenuti anti immigrati e articoli a sfondo religioso, tutti improntati sul sensazionalismo e con la preoccupazione non di stravolgere il quadro politico ma di acchiappare clic e fare business". Il meccanismo? "Quello della pubblicità". I contenuti? "Simili a quelle che, un tempo, chiamavamo leggende metropolitane".

Quindi uno sguardo al mondo dei giovani e dei giovanissimi che, sui social, cercano una sorta di "nuovo carisma", determinato dal numero di contatti, dai 'follower' e dai 'like' (i famosi 'mi piace'). Lo fanno con due strumenti: il clownig (messaggi che fanno ridere) e la sessualizzazione. Tutto improntato su un'economia di tipo reputazionale nella quale, per ottenere i benefici della reputazione e delle relazioni, si pagano costi elevati in termini di stress, privacy, di tempo.

Che fare allora? Rifiutare la rete e i social network? Nemmeno per idea. "I giovani sono lì. E lì vanno cercati", sostiene Dal Bello che aggiunge: "La nuova Missione della Chiesa passa anche attraverso la formazione di persone capaci di stare dentro quel mondo, nel cercare un nuovo rapporto tra contenuti e tecnologia; tra radici, tradizione e un modo di comunicare, per evitare che quest'ultimo si riduca a straniamento".

E il vescovo di Novara che dice? C'è un futuro per i media tradizionali? "A differenza del web - risponde Brambilla - il giornale é il luogo del racconto. Qui i fatti che la rete fornisce in modo frammentato, vengono uniti da un filo, uno accanto all'altro, come le perle di una collana. In questo tempo di globalizzazione i giornali sono come 'microclimi' basati sull'identità dei territori, sulla storia e la memoria. Ecco perché vedo per la carta stampata almeno altri 50 anni di lavoro".

Ultima modifica: Lun 23 Apr 2018

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