La speranza oltre le sbarre. A Chieti confronto tra De Raho, Legnini e vescovo Forte.

La necessità di una riforma carceraria che sembra ancora troppo lontana e un principio inviolabile: il rispetto della dignità, anche di coloro che hanno commesso i crimini peggiori. Un principio che laici e religiosi condividono e verso cui è necessario tendere perché la pena non sia una mera punizione, ma anche un percorso di riabilitazione che sia, prima di tutto, morale.

Sono questi, in sintesi, i principi su cui il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, il Vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e l'Arcivescovo della Diocesi Chieti-Vasto Monsignor Bruno Forte, hanno avviato una profonda riflessione dibattendo sul libro-inchiesta “La Speranza Oltre le Sbarre” scritto dalla giornalista della Rai Abruzzo Angela Trentini e dal teologo sistematico Maurizio Gronchi.

“Un libro – ha detto De Raho – complesso e profondo perché tocca molteplici aspetti approfondendoli tutti” e che “tutti gli avvocati e i magistrati – ha aggiunto Legnini – dovrebbero leggere”. Il racconto di quei “vuoti a perdere”, come li definisce Gronchi, che si sono resi colpevoli delle peggiori stragi del Paese. Sei killer responsabili delle morti dei giudici Falcone, Borsellino e Livatino che, per la prima volta, si confessano e si confrontano con i parenti delle vittime.
Se da una parte, ha sottolineato De Raho, la pena deve essere certa, dall'altra la dignità deve essere garantita perché possa avviarsi quel processo di riabilitazione che se nel profondo si può manifestare solo agli occhi di Dio, agli uomini deve mostrarsi attraverso atti concreti.

“Come disse mio fratello Giovanni – ha ricordato in un messaggio Maria Falcone - non bisogna mai dimenticare che in ognuno degli assassini c'è un barlume di umanità”. De Raho ha infatti raccontato come molti detenuti in regime di 41bis, dopo anni di colloqui con i parenti, affermino: “se avessi pensato che poteva esserci una vita diversa, non avrei scelto la vita che ho fatto”. Tutti, dunque, abbiamo una responsabilità: far sì che quella scelta diversa sia sempre possibile. E' questo il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno.

Ecco una parte dellla lettera inviata da Maria Falcone, che non è potuta intervenire all'iniziativa di Chieti dell'8 giugno a cui si riferisce questo articolo:

Il libro, a cui volentieri ho dato il mio contributo, è un percorso di indagine in cui l’autrice ha prestato ascolto al dolore delle vittime di mafia e, parallelamente, al dolore di chi, essendosi macchiato di quei delitti, ne sconta tuttora la pena. Quell’umiltà di ascoltare il lato umano di persone che la legge ha condannato mi ha fatto ricordare quanto ebbe a pronunciare in un’intervista mio fratello Giovanni: “Non bisogna mai dimenticare che in ognuno degli assassini c'è un barlume di umanità”. Credo che la chiave di volta per il cambiamento sociale che tanto auspichiamo sia proprio la capacità di guardare a “quel barlume di umanità”. Questo da un lato significa tener desta la capacità di discernimento nel bambino/adolescente attraverso la fondamentale azione di educazione alla legalità nelle scuole perché i giovani non possano più dire di non sapere che cosa è la mafia. Allo stesso tempo è essenziale il ruolo di informazione svolto dai giornalisti che possono scegliere di raccontare la giustizia alla società civile non solo come sistema, ma anche come apertura a percorsi di riparazione. La speranza è che la platea di giornalisti qui presenti possa cogliere l’urgenza di una informazione che sappia aprire la società alla speranza di giustizia e anche ad una giustizia di speranza.

Ultima modifica: Ven 15 Giu 2018