Desk

Oggi è l'Epifania, la gioia della notizia vera. E i Magi sono come 'inviati speciali'

Non è difficile rileggere in chiave di comunicazione l’avventura dei tre strani personaggi che il vangelo di Matteo, unico tra i sinottici, ci presenta come “magi”. L’intero racconto, in effetti, è costruito intorno a un “segno”, quello della stella, che è per eccellenza “segno di comunicazione”...

Natale, il racconto di un Vivente

Va premesso. Il Natale non è un simbolo, una favola, una identità che separa da altre o un meta racconto. È tutto molto più semplice. Per il credente il Natale è la storia di un Vivente, che è nato da una vergine, ha vissuto come uomo, è morto in croce da innocente e giusto, poi è stato risuscitato dall’amore di Dio padre. Avere fede significa proprio questo, fidarsi e affidarsi a questa Vita che nasce e rinasce e continua a Vivere. È questa la storia di Gesù di Nazareth. Il buon giornalismo la deve raccontare così, senza edulcorarla o enfatizzarla.

Vedere, comprendere, narrare. I tre verbi per il buon giornalismo

Ripronomiamo adesso una bella riflessione di padre Francesco Occhetta sui 'tre verbi' del giornalista. L'abbiamo pubblicata su questo sito alla fine del 2016, alla vigilia della nostra annuale scuola di formazione di Assisi. Ora, in questo giorno di metà estate, così caldo da tanti punti di vista, può costituire un grande stimolo per tutti noi (ar)

Il giornalista credente e le parole 'diverse' sulla morte

In questi giorni in cui ricordiamo i nostri cari defunti, vi riproponiamo la riflessione del nostro consulente ecclesiastico Francesco Occhetta, scrittore di Civiltà Cattolica, sul 'racconto giornalistico della morte'. 

di Francesco Occhetta (2016)

Ci stiamo abituando a un giornalismo che “informa” ma che non “forma” coscienze libere e capaci di valutare l’accaduto.

il giornalismo davanti alla resurrezione

È per rinascere che siamo nati” ha scritto Pablo Neruda. Ma da e per cosa? Parlare di risurrezione è sempre più anacronistico, per i giornalisti “è sempre meno notiziabile”, perché il termine è stato svuotato e umiliato dalla filosofia otto-novecentesca.