Con Pietro, sull'unica barca del mondo

A differenza della diretta di Rai Uno, dove si è creduto opportuno riempire i silenzi con un commento da studio, la diretta di TV2000 della preghiera speciale di papa Francesco, nel pomeriggio di venerdì scorso, è stata impressionante. Una scelta decisamente coraggiosa e felice, quella di limitarsi a rimandare le riprese video e audio della TV vaticana: nient’altro che il rito e quello che lo accompagnava, in un tardo pomeriggio romano di fine inverno e di quasi totale coprifuoco.

Tutti i suoni e i rumori di una piazza San Pietro completamente vuota, la pioggia battente, il richiamo dei gabbiani così tipici di Roma, e poi il suono delle ambulanze. Rumore di fondo mentre la telecamera inquadra la pensilina bianca completamente vuota che attende il papa. Poi il motore di un’auto che arriva, e improvvisamente papa Francesco che entra nello schermo salendo gli ultimi scalini del sagrato. Piove a dirotto, ma non ha un ombrello – forse più utile di quello che, poco dopo, coprirà l’ostensorio con il SS. Sacramento che torna nella sua cappella dentro la basilica –. Quando inizia la preghiera, ha ancora il fiato corto per lo sforzo fatto.

Poi la proclamazione del vangelo: ha confidato il membro della Cappella Musicale Sistina che lo ha cantato, che gli è mancata per un momento la voce a vedere una piazza così deserta e fradicia. Un episodio chiave del vangelo di Marco: Gesù che dorme sulla barca, gli apostoli che si lamentano. Sì, come ci insegnava anni fa perfino Marina Abramovic, siamo tutti sulla stessa barca, tutti chiamati a remare insieme dentro l’improvvisa notte di tempesta. Un’immagine potentissima e vera: «con la tempesta – ha commentato il Papa –, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

Ecco, il trucco che cade: che forza questo Papa serio e affaticato, che torna a gridare in nome dei poveri, della terra malata, delle vittime dell’ingiustizia e della guerra. Non ha perso invece la pittura il Crocifisso di S. Marcello, che fermò la peste a Roma nel 1522, e che pure si è riempito di pioggia, chissà forse come Gesù stesso sul calvario quel venerdì di tanto tempo fa. Papa Francesco gli si ferma davanti a lungo, poi si avvicina, e lo bacia, come nell’adorazione della Croce del Venerdì santo.

La seconda parte si svolge poi al riparo dell’atrio della basilica, con un lunghissimo silenzio di adorazione, vari minuti davvero inusuali per una diretta TV. E forse qualcuno sarà rimasto colpito dalla data in latino che campeggiava in bella vista sul pavimento: 11 ottobre 1962, giorno solenne dell’inizio del concilio Vaticano II, insieme allo stemma di san Giovanni XXIII, suo vero e principale protagonista. E ancora il Papa che impartisce la benedizione eucaristica in tutte le direzioni: urbi et orbi. Sì, per tutti, nessuno escluso,  e l’ennesima sirena di un’ambulanza a fare da eco.

Poi il congedo, di nuovo in silenzio. Poi ancora il rumore dell’auto nera che viene incontro al Papa. Nessun saluto, nessun sorriso. La piazza è vuota, la pioggia continua insistente. Non c’è un segnale per dire che è finita. E, forse, non è affatto finita, forse è come se fossimo ancora tutti lì davanti al Crocifisso che gronda. A chiedere aiuto, come e con i suoi amici sull’unica barca del mondo, e a gettare in Cristo ogni nostra preoccupazione, «perché Tu hai cura di noi» (cfr. 1Pt 5,7).

* L'autore è giornalista, parroco e consulente ecclesiastico dell'Ucsi Toscana

Foto: AgenSIR

Ultima modifica: Dom 29 Mar 2020