Abbiamo bisogno di Te, Dio della vita

Gesù entra a Gerusalemme, “il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina” annota il Vangelo di Matteo per dimostrare che la promessa di Isaia si è avverata. E così entra anche oggi nella (mia) storia, attraversa le vie deserte delle nostre città e passa vicino alle nostre case, ma non si ferma perché la méta è Gerusalemme, la città di Dio. È l’asino, non un purosangue, che porta Gesù e rimanda al modo del suo regnare. In questa scena raffigurata e narrata fin dai primi secoli si prepara la Pasqua, la festa che celebra la liberazione dalla schiavitù. Insieme al Signore c’erano i discepoli che lo hanno seguito, oggi ci siamo noi che lo contempliamo, facciamo entrare dalla finestra del nostro occhio, l’immagine vivente che si deposita nel cuore della vita.

Abbiamo bisogno che il Signore passi e ci attragga a Lui. Perché quando la fragilità e la caducità si fanno esperienza sociale, oggi come in altre epoche, rimane solo Lui a cui affidarsi. Era difficile per la cultura greca perché il loro dio si faceva amare e non amava. È difficile capire Dio anche in altre esperienze religiose in cui è causa prima di tutto ciò che capita agli uomini e causa della malattia e della morte. Ma Gesù capovolge le nostre idee su Dio con la sua esperienza di “vero uomo” e sceglie di vivere la passione in prima persona. Di lui, infatti, nessuno può dire che ha predicato ciò che non ha vissuto.

Noi abbiamo bisogno di Te, Dio della vita. Qualche giorno fa un giornalista di Bergamo ha raccontato la sua esperienza e lo ha affermato. Gli avevano chiesto di andare in una chiesa: “Poi, entro e mi si blocca il cuore. Ho davanti 45 bare al posto dei banchi della chiesa. Alcune con i nomi dei defunti, altre anonime. Non ce la faccio e inizio a piangere. Mentre riprendo con la mia telecamera recito delle preghiere e mi scendono le lacrime dagli occhi. «È la mia gente», penso: «I miei, il mio popolo». Cerco di essere discreto, rispettoso con le immagini, professionale. Ma il dolore è grande. Torno in redazione e mi trovo di fronte allo schermo del computer vuoto. Non so cosa scrivere. Sono svuotato. Mi viene in mente una nostra amica infermiera che lavora alla terapia intensiva dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo e che ci aveva chiamato per raccontarci la sua disperazione di vedere i «vecchietti morire da soli, in una stanza vuota, abbandonati». Un mio amico gli aveva risposto: «Non sono soli, ci sei tu che li guardi, Dio li sta guardando con i tuoi occhi». Allora ho capito cosa mi interessava raccontare e ho iniziato il pezzo con queste parole: «Non siete soli, non siete abbandonati...»”.

Contemplare la sua passione ci insegna ad essere compassionevoli e a guardare la storia dalla parte di Dio. Per farlo però dobbiamo arrenderci e convertire le nostre immagini di Dio che ci condizionano. Per difenderci dalla "spiritualità fai da te" della Rete occorre essere vigilanti e attenti dalle trappole teiste che presentano Dio come la causa prima del male vissuto nel mondo. Santa Teresa raccomandava di "lasciare Dio essere Dio", Sant'Ignazio di Loyola negli Esercizi osa ancora di più, quando parla di unione con Dio chiede di renderci indifferenti "in modo che non desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà, l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati". È il fine per cui siamo creati – l’unione con Dio - che rende più chiaro i mezzi come ad esempio la preghiera, i sacramenti, le pratiche e così via. Dall'immagine di Dio che noi presupponiamo emerge il Dio in cui crediamo. La contemplazione della sua passione che inizia dall’entrata a Gerusalemme diventa la preghiera che nel silenzio ci converte. È l'immagine di Agostino che scava fino a trovare l’acqua sorgiva.

La vita piena passa attraverso la dura legge della croce, che converte il potere in servizio, l’io nel noi, la morte in vita. Nessuno è esente, ma sulla soglia di questo duro passaggio c’è il Signore, che attraverso la sua passione ci ha voluto precedere per essere dove solo Dio può salvare.

 

* nel riquadro: particolare di 'Ingresso a Gerusalemme' di Giotto alla cappella degli Scrovegni di Padova

Ultima modifica: Lun 6 Apr 2020

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