La sobria ebbrezza del Natale

Si torna a parlare di sobrietà. È una delle tante ricadute della pandemia che sta progressivamente ridisegnando il nostro stile di vita e, più ampiamente, le regole di ingaggio del mondo. Solo che si tratta di una parola così estranea al nostro orizzonte culturale da risultare stonata se non addirittura imbarazzante.

È una di quelle esigenze che chiamano in causa chi la proclama, come la richiesta di onestà, giustizia e verità: se rivendico la sobrietà come stile di vita, tu hai immediatamente il diritto di chiedermi se la pratico davvero, ovvero, quanto costano il mio cellulare, il mio portatile, il mio orologio. E così scoprire che potrei davvero vivere con un profilo più basso e moderato. Sobrio, appunto. E che l’invito alla sobrietà è tutt’altro che un fervorino, dal momento che mette in discussione le radici stesse del nostro sistema economico e sociale, fondato sull’imperativo del consumismo.

Com’è suo solito, papa Francesco ha stigmatizzato la questione con parole precise e raramente efficaci nella prima delle sue catechesi estive sulla pandemia: «Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune? Pensiamoci».

Sobri in tutto, sobri sempre. Viene da chiedersi se debba porsi anche la sfida di una sobrietà della comunicazione, un’attenta essenzialità e asciuttezza, un’esigente aderenza ai fatti, un possibile tacere quando le notizie non sono complete e verificate. E anche quando non c’è proprio niente da comunicare se non la ripetizione dell’identico potrebbe essere la preziosa occasione di dedicarsi a un maggiore scavo di notizie altre, sepolte magari sotto l’alluvione dei dati e delle valutazioni rassicuranti. Insomma, chiamare le cose con il loro nome e non avere paura di dire cose scomode e fuori dal coro.

Torna in mente la ben nota e insuperata lezione di don Milani che invitava i giornalisti a seguire l’esempio dei suoi ragazzi di Barbiana nel lavoro sulla sobrietà e l’efficacia delle parole che era ed è sempre faticosa ricerca della verità: «Noi si parte dall’idea, si cerca la verità per scritto e la si corregge via via, la si perfeziona nella ricerca della massima efficacia col minimo di parole: massima efficacia col minimo di parole. Quando questo lavorio lo si protrae per settimane... e si corregge, ricorregge, ricorregge, si lima, si toglie, si taglia, si taglia ripetizioni, si taglia aggettivi inutili, si abbrevia, si concentra sempre più... Quando è stato fatto questo lavorio a lungo, non solo si raggiunge il massimo di espressione, il massimo di... efficacia, cioè di comunicazione, ma oltretutto si raggiunge la verità».

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 Argomento principe del dibattito pubblico intorno alla sobrietà sono i prossimi festeggiamenti natalizi che dovranno necessariamente rinunciare a buona parte dell’apparato consumistico che li accompagna. E dove si sfiora quasi il paradosso. Poiché il Natale cristiano è senza dubbio sobrio, come ha scritto in un riuscitissimo post il sacerdote spagnolo Javier Lopez: «Più silenzioso e più profondo, più simile al primo Natale, quando è nato Gesù, senza tante luci sulla terra ma con la stella di Betlemme [...]. Niente impressionanti parate regali, ma l’umiltà dei pastori alla ricerca della Verità».

Ma è anche e inevitabilmente sovversivo, punta molto lontano, annuncia una trasformazione che è già iniziata e che non si fermerà. L’euangelion, la notizia buona e nuova che gli angeli proclamano quella notte – ma forse era giorno, ed è una questione del tutto irrilevante – è il “comunicato stampa” più rivoluzionario che sia mai stato confezionato. È l’ora del cambiamento di regime, in cui il mondo con tutte le parole che usiamo in esso e su di esso è completamente sconvolto: Dio non è dove credevamo, ma è in questo uomo povero che nasce e muore fuori città: è qui che Dio sceglie di essere e di dichiararsi. È lo stile soprattutto del vangelo di Marco, quello che leggeremo in questo nuovo anno liturgico, che si può riassumere così: attenzione, perché qui abbiamo a che fare con «un messaggio riguardo a qualcosa in grado di alterare il clima in cui vive la gente, mutando sia la politica che le possibilità. Un messaggio che trasforma il panorama della vita sociale».

 

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Esagerazioni? Pensiamoci, direbbe papa Francesco... E, in verità, maneggiare questi materiali – e questo vale in particolare per la comunicazione specificamente “ecclesiale” – è rischioso ed esigente. I cristiani sono anche pompieri, ma soprattutto incendiari: va bene usare parole di rassicurazione, ma attenzione a smettere di graffiare e provocare.

Per maneggiare la “sobria ebbrezza” del Natale abbiamo proprio bisogno di antieroi, del tipo di quelli che il caro amico Riccardo Clementi ha spiegato a suo figlio Elia. Che ci insegnano a vedere il rovescio della medaglia. E a decifrare la mappa del vero tesoro. Che sanno bene dove sta andando il mondo e si danno da fare per affrettare l’arrivo a destinazione. E anche per comunicarlo a tutti.

éL'autore, don Alessandro Andreini, è consulente ecclesiastico dell'Ucsi Toscana

Ultima modifica: Dom 29 Nov 2020