'Vide e credette'. Giornalisti per un giorno sulla scena della passione di Gesù

Tra i personaggi che popolano il racconto della passione di Gesù – una delle condanne a morte più efferate che si conoscano – ve ne sono almeno tre che potrebbero far parte a pieno titolo di una troupe di reporter: il centurione, la donna che asciuga il volto di Cristo, il discepolo che Gesù amava. Ognuno a suo modo.

Al centurione spetta, per così dire, la palma d’oro dell’intuizione. È un grande osservatore e vede ben oltre le apparenze. Di fatto, è l’unico che, di fronte allo spettacolo cruento della morte di Gesù, ne coglie la vera e nascosta identità: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Mentre per gli ebrei il fatto di aver appeso a un legno il giovane Maestro di Nazaret era la prova provata che non poteva venire da Dio, il centurione vi scorge l’esatto contrario. «Avendolo visto spirare in quel modo» dice Marco: si muore come si è vissuto e Gesù muore amando e perdonando. Facendo della propria sofferenza un dono per tutti: per questo, di fatto, è proprio la sua morte a rivelarlo senza alcuna incertezza.

La donna che asciuga il volto di Gesù lungo il calvario – la tradizione la identifica con la Veronica – è la fotografa del gruppo. Sprovvista della strumentazione in dotazione ai reporter contemporanei, e volendo fissare quel momento drammatico e comunque solenne, eccola avvicinarsi e rubare uno scatto del volto del Maestro. È un’immagine disegnata con il sangue e il sudore di un uomo che ha già subito torture e umiliazioni, e diverrà un vero e proprio scatto cult, un “ritratto” che ha del miracoloso se davvero coincide con il Volto Santo custodito nella basilica di S. Pietro, a Roma, o forse con il Volto Santo di Manoppello, vicino Chieti: l’istantanea di una sofferenza abbracciata con consapevolezza e generosità, il fermo immagine di un amore inaudito e capace di trasformare la morte in vita.

Il discepolo che Gesù amava, infine, brilla per la sua appassionata capacità di osservazione e per la rapidità con cui sa analizzare quanto osserva. Non solo è l’unico tra i commensali della grande cena ad avere il coraggio di interrogare Gesù sull’identità del traditore, proprio come un abilissimo intervistatore: «Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”» (Gv 13,25). Soprattutto, è il più veloce ad arrivare sulla scena del miracolo, il primo giorno dopo il sabato, non appena ricevuta l’inverosimile notizia recata dalle donne che il sepolcro è vuoto: giunge prima di Pietro, ma lascia che sia lui a entrare. E, tuttavia, è lui a cogliere il cuore ancora misterioso dell’evento: «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8).

Dopo duemila anni, tutti noi siamo ancora sfidati dalla testimonianza di questa insolita troupe: essa ci parla di un uomo buono, inerme e totalmente abbandonato nelle mani degli uomini che ne hanno fatto quello che hanno voluto. Ma che, proprio per questo, ci misura e ci rivela in tutte le nostre contraddizioni, chiamandoci radicalmente in causa. E offrendoci la provvidenziale opportunità di sostare a lungo davanti a quel magistrale “ritratto d’autore” e rivolgerci una domanda chiave: io da che parte starò oggi nella vicenda della passione di Gesù e di tutte le donne e gli uomini che soffrono?

 

L'autore, don Alessandro Andreini, è consulente ecclesiastico dell'Ucsi Toscana

Nel riquadro: il Volto Santo di Manoppello

Ultima modifica: Ven 2 Apr 2021