Chiamati per nome

Tangentopoli, Brexit, Qatargate... non si contano i neologismi con i quali il sistema dell’informazione è solito identificare episodi, situazioni, crisi. Dandone spesso anche un giudizio o una valutazione.

È qualcosa che accade anche tra le persone, particolarmente nelle comunità più piccole: ci si attaccano facilmente, gli uni gli altri, delle vere e proprie etichette. Ci si incasella e forse ci si imprigiona in determinati cliché dai quali risulta quasi impossibile uscire. Quante volte lo abbiamo detto o ce lo siamo sentiti dire: sei sempre la solita, il solito!

Sì, gli esseri umani si guardano e si giudicano, e non riescono davvero a volare alto. Lo fanno con gli altri, e questo è il contenuto per eccellenza dei nostri gossip. Ma, soprattutto, lo fanno con sé stessi. Ed è proprio qui che si misura la distanza tra il modo in cui noi ci guardiamo e il modo in cui Dio ci guarda.

La visita dell’arcangelo Gabriele a Maria, una delle pagine evangeliche più alte che si ascoltano ogni anno nelle settimane che ci portano verso il Natale, è un capolavoro proprio riguardo a questo. Non che la sua interlocutrice non abbia già su di sé uno sguardo luminoso, un’apertura d’orizzonte vasta: è giovane, promessa sposa, soprattutto, si chiamava Maria, un nome che è un programma, cioè amata da Dio, signora, stella del mare. Eppure, l’arcangelo viene a spalancarlo, se possibile, ancora di più a misura del cuore di Dio: Maria è la piena di grazia, la porta del cielo, sarà presto la Madre di Dio.

Di fronte all’apertura immensa dell’angelo, la grandezza di Maria sta tutta nel suo essere pronta: ed è proprio questo il senso della festa dell’immacolata concezione, il mistero di una creatura senza veli, senza blocchi, senza ripiegamenti. La visita di Gabriele non la coglie impreparata: ha delle domande, e proprio in quello che chiede si rivela come una vera interlocutrice che non si ferma alle apparenze, ma punta subito al cuore del messaggio: ascolta, accoglie e si mette totalmente a disposizione. Crede in Dio e, proprio per questo, con quell’umiltà straordinaria che è fiducia, non tanto in sé stessa ma nella grazia divina, crede anche in sé stessa: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

A ben guardare, ognuno di noi riceve questa visita angelica una o più volte nella vita. Continuamente Dio ci guarda e ci illumina con la luce immensa del suo amore. Insistentemente ci invita a uscire dal ghetto delle nostre etichette, delle nostre paure e dei nostri blocchi interiori. Talvolta noi siamo pronti ad accogliere la luce, altre volte no. E, allora, considerando la visita di Gabriele a Maria, ma anche tutte le altre visite che i giorni di Natale ci ricordano – quella dell’angelo a Giuseppe, dei cori angelici ai pastori, quella così misteriosa dei tre sapienti venuti dall’Oriente – forse posso provare a farmi una domanda: chi sono io? E lasciare che a rispondere non sia il giudizio degli altri o quello che io spesso do di me stesso, ma la parola d’amore di Dio, il suo sguardo di luce e di speranza che penetra gli strati profondi del mio cuore e mi conosce meglio di quanto io conosco me stesso. Fare ogni giorno questo esercizio di luce e lasciare che Dio pronunci ogni giorno il mio vero nome: tu sei immensamente e perdutamente amata, amato da Dio. Questo è il modo più vero per custodire e rivivere ogni giorno la grazia del battesimo. E, magari, potremmo aggiungere una volta per tutte un secondo nome al nostro, come facevano gli antichi: Chiara, Lorenzo, Antonietta, Alessandro Maria, perdutamente amata, perdutamente amato da Dio!

* L'autore, don Alessandro Andreini, è il consulente ecclesiastico dell'Ucsi Toscana

Ultima modifica: Sab 31 Dic 2022