Dal popolo alla comunità.

Nei racconti della passione il “popolo” è messo in discussione nel suo significato sociologico e politico. La sua identità è viva ma non comprende fino in fondo cosa capita. Soprattutto può cambiare radicalmente il suo atteggiamento: osannare il Signore all’entrata in Gerusalemme, e scegliere Barabba dopo pochi giorni.

Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 12, 12-15 si legge: "Il giorno dopo, la molta folla che era venuta per la festa, avendo udito che Gesù arriva a Gerusalemme, presero i rami delle palme e uscirono all’incontro con lui e gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore [e] il re d’Israele. Ora, incontrato Gesù un asinello, sedette sopra di esso, come è scritto: “Non temere, figlia di Sion. Ecco il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina”.

All’entrata a Gerusalemme Gesù viene accolto come un re, secondo le profezie del profeta Sofonia ed Ezechiele. Entra nella città mentre il suo corpo è ancora pieno del profumo di Maria di Betania. L’ultimo gesto del Signore era stato il pianto per l’amico Lazzaro. Davanti a lui, dice Ireneo di Lione, piange come uomo e lo resuscita come Dio.
Le folle lo acclamano re di Israele, colui che viene nel nome del Signore, per liberare il popolo dall’oppressione mortale in cui si trova (Sal 118,26). Il popolo lo considera un Re, senza badare al suo modo di regnare. Lo crediamo un “Dio simile a noi, invece di fare noi simili a Lui”. È questo l’origine dei nostri mali.

Scrive Silvano Fausti: «Il risultato di questa perversione nel concepire Dio e l’uomo prende corpo nella figura del re (cf. 1Sam 8,1ss; Gdc 9,8-15). Egli sarebbe l’uomo ideale, ideale di ogni uomo. È dio in terra e gode delle sue prerogative: è libero e potente, in grado di disporre di tutto e di tutti. Dio però è esattamente il contrario di ciò che noi pensiamo. Il suo modo di regnare è diverso dal nostro, come il “Pastore bello” è diverso dai ladri e dai briganti (cf. 10,1ss). È vero che il Signore è re. Ma non usa la violenza per conquistare e mantenere il dominio, né si impone sugli altri perché ha il potere di ucciderli. Il suo simbolo è l’asinello, mite e umile (Zc 9,9): non spadroneggia ma serve, non pratica violenza ma ama, non dà morte ma vita. Gesù è un Messia “politico”, che da sempre mette in crisi le nostre concezioni politiche. Propone infatti un nuovo modo di rapporti civili: a un mondo fatto di padroni e di antipadroni, che produce libertà per pochi e schiavitù per gli altri, succede un mondo di uomini liberi, a servizio gli uni degli altri nel reciproco amore (cf. 13,1-15; Fil 2,5-11; Gal 5,13). Invece del delirio di onnipotenza del superuomo, che suppone un sottouomo, c’è l’accettazione cordiale della propria umanità e dei limiti naturali come luogo di solidarietà».

Il Signore non strumentalizza il popolo! Sarebbe stato troppo facile convertirsi in un leader peronista o populista. Davanti al popolo tace. Parleranno altri secondo il noto insegnamento romano: pars pro toto (la parte che parla per tutti). Ce lo ricorda con lucidità Zagrebelsky, che, nel suo volume “Crucifige”, scrive: «Il “crucifige!” fu un urlo unanime. Nella folla davanti al pretorio non c’era posto per il dissenso. La paura la teneva unita come un corpo compatto. Se, tra i tanti, una voce si fosse potuta alzare per farsi ascoltare e fosse riuscita a organizzare una discussione, se si fossero allora formati diversi partiti, forse la decisione si sarebbe orientata diversamente, forse ci sarebbe stato un ribaltamento o la ricerca di una soluzione di compromesso [...]. Quella folla non era un soggetto, ma un oggetto. Una folla di questo genere era per sua nauta portata all’estremismo, alle soluzioni senza sfumature, prive di compromessi».

E questo insegnamento vale anche per noi oggi. Siamo chiamati a diventare soggetti e non a rimanere oggetti in mano ai leader di turno che strumentalizzano la coscienza sociale. Come tenere insieme la contraddizione, la tragica debolezza umana? Per non ricadere in modelli autoritari che sacrificano l’innocente la Scrittura ci offre una soluzione: costruire comunità. Trasformare il popolo in comunità, o fare del popolo una comunità.

La comunità ha le sue regole come per esempio gareggiare a stimarsi, fare dei doni dei singoli una ricchezza per tutti, condividere con chi ha bisogno, cedere un po' della propria sovranità per formare un corpo (comunitario), ecc. La vita comunitaria non ammette divisioni, gelosie, maldicenze o il lavorare contro e dietro. A tratti, purtroppo, la vita associativa sembra invece questa. E si perdono un mare di energie che invece potrebbero essere spese bene e al servizio di tutti. Anche un’associazione come la nostra può purificarsi e progettare il proprio futuro superando gli equilibri associazionistici fatti di tessere e piccoli poteri, e costruendo una vera comunità in cui si rema tutti verso la stessa meta.

L'autore. Francesco Occhetta S.I., è consulente ecclesiastico dell'Ucsi. Altre sue riflessioni sono all'interno della rubrica "Parola e Parole" in questo stesso sito.

 

Ultima modifica: Dom 9 Apr 2017