Il giornalismo generativo.

Siamo chiamati a far crescere il grano delle buone notizie e a soffocare la zizania delle notizie che istigano alla violenza (hate speech), ridicolizzano le voci delle istituzioni, toccano le emozioni, iniettano sospetto sui fatti, inventano le bufale (fake news).

Ci chiediamo: lo dobbiamo fare anche davanti a notizie come quella dell’attacco terroristico al concerto di Manchester in cui sono morte 22 persone, bambini inclusi? Davanti al Messaggio per la 51ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali il Papa chiarisce il modo di dare le notizie e ribadisce che «la realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?» (1).

Il Papa citando Cassiano il romano, ricorda che “già i nostri antichi padri nella fede parlavano della mente umana come di una macina da mulino che, mossa dall’acqua, non può essere fermata. Chi è incaricato del mulino, però, ha la possibilità di decidere se macinarvi grano o zizzania. La mente dell’uomo è sempre in azione e non può cessare di “macinare” ciò che riceve, ma sta a noi decidere quale materiale fornire”. Francesco invita gli operatori della comunicazione a macinare grano buono per produrre ogni giorno “pane fragrante”. Comunicare la verità per la teologia ha una vocazione precisa, quella di nutrire e far crescere una relazione.
È davanti a queste righe che è utile chiedersi: come devo comportarmi? In che modo distinguere le voci di bene e quelle di male radicate nel cuore? Chi sono chiamato ad essere?

La formazione di una coscienza sociale può essere garantita soltanto da un’opinione pubblica formata, capace di distinguere il bene dal male. Non si tratta, come pensano molti, di imporre la verità insegnandola — il cui etimo ricorderebbe un «mettere dentro» —, bensì educando a disvelare la verità (dei fatti), e ciò nel senso più alto del termine, del «tirare fuori» risorse, innovazioni e valori: dai cittadini e dalla società (2). Quale alternativa sarebbe possibile? Per alcuni studiosi e politici prevedere una sorta di sceriffo del web che censuri il falso. Così si comprimerebbe il principio inviolabile del diritto di espressione.
Ricordiamo, in proposito, un aneddoto di Enzo Biagi: «Una notizia la si può raccontare in tantissimi modi. Facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata così: un bambino la prende perché ha sempre sognato di avere la bicicletta; oppure, il bambino è un ladro, dimostra di essere un precoce delinquente; infine, era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà» .

Una sfida: scommettere sul giornalismo di qualità

La possibilità di abitare il tempo della post-verità come uomini morali si apre – ma anche si chiude – dentro ciascuno. Come diceva Mounier parafrasando Peguy: “La rivoluzione o sarà spirituale o non sarà”, e anche loro avevano in mente non un orizzonte intimistico, ma la dimensione interiore nei suoi nessi con quella sociale e politica.
Il siero per contrastare gli effetti della cultura della post-verità sono la testimonianza e la capacità di dare buone notizie. Quelle che difendono la vita, rispettino il dolore, costruiscano bene comune. Il giornalismo (anche ecclesiale) deve aiutarsi a correggersi, rettificarsi e scusarsi; vietare le forme di pubblicità occulta; liberarsi dall’essere megafono servile del potente di turno.
Il problema rimane quello della veridicità delle fonti e della loro reperibilità. Ma la verità dei fatti è soprattutto questione di sguardi e di linguaggio. È «saper vedere ciò che altri non vedono, mettere in rete ciò che altri scartano, essere sale e lievito che non addormenta, ma aiuta conoscenza e trasformazione» (3) . Niente di nuovo, si potrebbe obiettare; compresa la premessa dell’attuale direttore di Tv2000: «raccontare la realtà e parlare chiaro come dovere etico», e la conclusione: «siamo chiamati a capovolgere il punto di vista, recuperando magari il linguaggio dei bambini». Tuttavia certe affermazioni dei protagonisti dell’informazione possono essere di aiuto, specie se sono metabolizzate e fatte diventare prassi.

L’impegno del giornalismo cattolico

Quasi un secolo fa il giornalista era stato definito da Joseph Pulitzer: «La vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato». Ci chiediamo: è ancora così? Nel tempo della post-verità la genesi della notizia è radicalmente cambiata. Fino ad una decina di anni fa la notizia si dava attraverso sette tappe: a) reperimento, b) verifica, c) selezione, d) gerarchizzazione, e) interpretazione e contestualizzazione, f) commento e presentazione al pubblico, ne è la causa. Quello che rimane oggi sono i momenti dell’interpretazione e della contestualizzazione. Su questi due passaggi passa il rilancio di un giornalismo di qualità e delle notizie buone.
Certo la deontologia va rispettata. Il suo significato (dal greco tò δέον “il dovere” e λόγος “scienza”) non è un concetto statico, ma cambia nel tempo includendo i contenuti e le forme della comunicazione che generano nuove esperienze comunicative. Occorre investire molto in cultura e parlare alle intelligenze e non alla pancia. Invertire la regola delle cinque “S” che impone di parlare di sesso, soldi, sangue, spettacolo e sport per fare audience. Prepararsi con rigore sui temi caldi dell’agenda politica che toccano la convivenza civile stessa: l’antropologia post-umanista, il rapporto tra laicità e l’islam e il rapporto tra diritto di espressione e diritti soggettivi, l’integrazione, la costruzione della cittadinanza europea, la difesa della dignità della persona, ecc.

Rimane dunque l’impegno quotidiano del giornalismo spiritualmente libero che si sforza di comunicare bene il bene, confortate dalle parole di Francesco: “Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza”.
E dalla forza e dal nutrimento della vita di fede si diventa anche generativi... ed un giornalismo generativo è quello che desidera, fa nascere, nutre, accompagna, lascia andare.

[1] Papa Francesco, Messaggio per la 51ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2017). [2]. F. Occhetta, Le tre soglie del giornalismo. Servizio pubblico, deontologia, professione, Ucsi editore, 2015. [3]. Citazione tratta da P. Ruffini, Scegliete! Discorso sulla buona e la cattiva televisione, Torino, ADD editore, 2011, 55. P. Ruffini, «Tra forza e libertà. Impressioni di una professione», in Desk 23 (2016).

 L'autore. Francesco Occhetta S.I., è consulente ecclesiastico dell'Ucsi. Altre sue riflessioni sono all'interno della rubrica "Parola e Parole" in questo stesso sito.

Ultima modifica: Lun 5 Giu 2017