Pasqua - Cos'è la Resurrezione per un giornalista

È strano. Ma la notizia della Pasqua non è presa dalle scuole di giornalismo come un “caso da manuale” da studiare e approfondire. In realtà continua a dividere: per alcuni è una notizia vera, per altri è falsa, una vera e propria fake news.

Nel racconto della Pasqua del Vangelo di Giovanni, leggiamo in una traduzione letterale dal greco: Il (giorno) uno (= primo) dei sabati (= della settimana), Maria la Maddalena viene all’alba, mentre era ancora tenebra, al sepolcro; e guarda la pietra levata dal sepolcro. corre allora e viene presso Simon Pietro e presso l’altro discepolo, del quale Gesù era amico, e dice loro: levarono il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo posero (Gv. 20, 1-2).

Di quell’evento, due sono le notizie: il grido a la paura di Maria Maddalena davanti alla tomba vuota e la corsa di Pietro e Giovanni.

Della prima sappiamo che va di notte per raggiungere il suo cuore che era rimasto vicino al Signore, i secondi vanno per accertarsi dell’assenza. Della risurrezione di Cristo abbiamo solo prove indirette su cui il card. Martini ha dedicato anni di studio: il sepolcro vuoto, l’ordine nella tomba, il sudario piegato ecc.; è per questo che è difficile scrivere di Risurrezione.

Per la stampa che vuole parlare di risurrezione occorre farlo puntando gli obiettivi sul crocifisso, spettacolo osceno per tutti, scandalo per i credenti e follia per i non credenti, distanza infinita che lui ha posto tra se stesso e l’idolo, diceva Bonhoeffer.

Lo preciso meglio: è fallace costruire una notizia per provare che “il Crocifisso è risorto”, anche al dio di Aristotele questo era possibile. L’unica buona notizia che non svende idee di Dio idolatriche e false è quella che proclama che “il Risorto è il Crocifisso”.

Per un giornalista l’evento della risurrezione è anzitutto un nuovo modo di leggere gli eventi, è un cambio di prospettiva per raccontarli; l’Assenza del sepolcro vuoto è il presupposto che pone come destino dell’uomo non la morte, ma la risurrezione. Non la morte è un male, bensì il nostro modo di concepirla e di raccontarla. “Se faccio del mio io il mio dio, principio e fine di tutto, allora per me la morte è la fine di tutto.... Per l’uomo il limite del suo tempo non è la fine di tutto, ma la comunione con il suo principio” (S. Fausti, in L’idiozia). È questa la prima sfida.

È così. La risurrezione non può essere raccontata dalla Professione, ma dai singoli giornalisti perché davanti a quell’evento siamo un po' tutti chiamati a diventare giornalisti. Con un’avvertenza. Per vedere il Signore risorto occorre conoscerlo, capire come ha vissuto, avergli parlato, averlo accompagnato e forse anche tradito. È l’indifferenza e l’ignorare l’esistenza di un altro che ci allontana da ogni forma di vita.

L’evento della risurrezione di Cristo richiede alcune tappe, non è dicibile immediatamente.
Non basta vedere per credere. Il dubbio attraversa tutti i Vangeli “essi però dubitavano” si dice nei racconti della Risurrezione. I vangeli pongono il dubbio nel momento stesso della visione. Non basta vedere per credere. Nel brano di Giovanni in cui si parla di Lazzaro si dice “se non ascoltano Mosè e i profeti non saranno persuasi nemmeno della risurrezione dei morti”. Più degli occhi è la forza persuasiva della Parola che ci permette di conoscere. I segni rimangono indizi, il significato si svela con la Scrittura.

Ma come passare dal dubbio alla conoscenza intima e interiore del Signore? Attraverso un cammino di comprensione, lungo e difficile. Per questo da Risorto gli abbracceranno i piedi... sono i piedi del Signore a guidare il discepolo verso la sua risurrezione. Occorre che passi del tempo. La risurrezione non è immediata, il tempo liturgico fa sintesi e ne spiega l’essenza, ma il tempo personale ha bisogno di mesi, di anni, occorre tempo per fare memoria e ricordare affinché il cuore si apra alla compassione e al ricordo della vita del Signore con te.

Il risorto porta la pace e la risurrezione la comprende coloro che la accolgono. Senza questa scelta, gli Apostoli non sarebbero mai giunti alla fede e la chiesa non potrebbe avere la forza della missione. È per questo che ci aspetta un lungo viaggio, descritto da Dag Hamerskjöld: “Il viaggio più lungo è il viaggio interiore”... non per rimanerci, ma per emigrare verso la vita del Risorto, esplosione dell’amore di Dio nel corpo di Cristo.

Per questo c’è tanto bisogno che il giornalista credente racconti la risurrezione come “vita della Chiesa” (non le beghe vaticane) che nasce da una duplice assenza dello Sposo: “Ucciso dai nemici sulla croce e nascosto dagli amici nel sepolcro, prima è assente perché posto dove non doveva essere, poi è assente da dove l’hanno posto e doveva essere. La sposa non vede lo Sposo e lo cerca. Vedendo la sua prima e seconda assenza, nell’incontro con lui capirà che proprio così ha realizzato l’amore di cui ha dato prova nel tempo in cui era tra noi. L’amore è il principio della conoscenza di fede, come di qualunque relazione tra persone. Infatti rende presente l’amato in chi lo ama”. È dall’assenza che esplode la presenza risorta.

Se il percorso descritto che emerge dalle Scritture risulta difficile e ostico esiste una scorciatoia che vale anche per il mondo giornalistico: stare al fianco di un crocifisso vivente o fare memoria del peso della croce che si è costretti a portare o che facciamo portare agli altri, non sarà difficile percepire che la morte è già stata vinta per amore.

(l'autore, Padre Francesco Occhetta, è consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi e scrittore di 'Civiltà Cattolica')

Ultima modifica: Dom 1 Apr 2018