#altropresepe - seguendo una stella senza Google Maps
Il fascino dei Re Magi, tra storia e legenda, resta per grandi e piccini, tra credenti e non credenti, un simbolo suggestivo della ricerca appassionata della verità, dell’eterno pellegrinare dell’uomo, della contemplazione adorante, della coraggiosa testimonianza di fronte al potere, dell’annosa relazione tra scienza e fede.
La loro figura si arricchisce di significato ancora di più nell’era del 3.0, della domotica, dell’intelligenza artificiale, della realtà aumentata, di Google Maps e della navigazione satellitare. I protagonisti a latere dei nostri presepi sono testimoni di un modus vivendi che va oltre i millenni: sono follower e “seguaci” di una stella che li conduce fino alla grotta di Betlemme.
Il loro cammino è il segno tangibile di una capacità di guardare una cometa con il naso all’insù per non perdere l’orientamento, con una domanda in mente e una speranza nel cuore: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”.
Un cammino che i Magi ripercorrerebbero alla stessa maniera anche oggi, nonostante la possibilità di geolocalizzare il luogo della mangiatoia. Lo farebbero ancora una volta e alla vecchia maniera. Con mille dubbi e cento perplessità, senza trasponder né radar, ma alzando la testa per guardare a quel segno misterioso che induce a mettersi in cammino nell’atteggiamento di “non si volge chi a stella è fisso” per dirla alla Leonardo da Vinci.
Quello dei Magi è uno sguardo verso l’alto, verso il cielo. Mai verso terra, mai a capo chino, come sempre più spesso è consuetudine di tutti noi che teniamo nel palmo di una mano smartphone e tablet touch screen. Al contrario, per parafrasare un vecchio canto natalizio, “camminando s’apre il cammino” e l’unica vera risposta non è abbassare lo sguardo lungo la strada della vita, ma volgere lo sguardo verso l’alto, verso una luce che va oltre la retroilluminazione in dotazione a pc e supporti mobile. Una luce che porta verso l’incontro con Qualcuno di veramente significativo che fa superare gli ostacoli delle “solitudini di tastiera”, i limiti delle echo chmabers, quelle stanze in Rete, in cui tutti si compiacciono di tutti rifiutando qualsiasi critica costruttiva, l’asfissia dei video-giochi che inchiodano ragazzi e adulti in casa astenendoli da aprire la porta per uscire e stringere la mano dell’altro, per osservare quel che accade alle periferie della vita e negli angoli più reconditi dei nostri quartieri.
Quella dei Magi è una luce che, per ritmarla alla Edoardo Bennato, fa seguire la “seconda stella a destra” nella convinzione che veramente questo è il cammino. Poi “dritto fino al mattino” lungo “la strada che “porta all'isola che non c'è”. Un’isola che San Tommaso Moro chiama Utòpia nel suo saggio omonimo; un’isola che è metafora di speranza nell’altro e nel futuro; un’isola che non è quella de Il signore delle mosche di William Golding, dove i giovani protagonisti precipitati durante un viaggio in aereo, una volta sopravvissuti e approdati su un’isola deserta, dopo un primo disorientamento e senza capacità di auto-governo, passano alla guerra fratricida trasformando la loro vita in un incubo; un’isola che non è l’approdo in cui si trova Leonardo Di Caprio nel film The Beach di Danny Boyle dove si perde per strada finendo alla deriva in uno smarrimento narrativo che sfocia nel cinismo e nell’isolamento nella sua playstation.
Al contrario, quella in cui si trovano i Magi è un’isola senza mare popolata da pastori e pecore, una comunità semplice, non avanzata né tecnologicamente evoluta, che si stringe attorno al “Verbo che si fece carne per abitare in mezzo a noi”. Un fatto e una notizia che crea stupore più di ogni altra cosa. Non c’è bisogno di Rss, né di alert o notifiche.
La forza dei Re Magi nel mettersi in movimento sta proprio nell’incertezza della route, per richiamare sir Robert Baden-Powell, fondatore del movimento scout, nel “moltiplicare e adattare le attività alle più svariate congiunture”, per citare l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, per avere una risposta all’interrogativo più profondo dell’uomo di ogni tempo: la scoperta del Trascendente quale compiutezza del senso dell’esistere.