A partire dal cuore: giornalismo, deontologia e formazione dell’interiorità

Come formarsi e vivere un’interiorità profonda, a partire dal cuore per una comunicazione pienamente umana, in questo tempo di emergenza della complessità, di sistemi di intelligenza artificiale e per agire e comunicare in nome del presente e delle sue sfide per noi comunicatori e giornalisti, narratori di storie, testimoni dei segni dei tempi?

Secondo il Dizionario Garzanti, la “sapienza” è il «perfetto grado di conoscenza delle cose; il possedere dottrina e sapere, l’essere dotto», ma anche «il possedere grandi capacità di discernimento, accompagnate da doti morali; saggezza», come pure «esperienza, abilità, competenza». È sapiente chi è «esperto, abile, competente», colui/colei che «rivela dottrina, saggezza o esperienza, abilità».

Il sapere non è solo intellettuale, ma anche il “sapore” e il gusto della vita; è il discernimento, la «capacità di giudicare; di criticare, il buon senso»; l’abilità di «riconoscere», come anche «distinguere con i sensi, con la mente; conoscere, comprendere».

Queste definizioni ben si accordano con due verbi greci che definiscono il sapiente: colui che è capace di “custodire” (synterein), di “ricordare scrupolosamente e con amore, senza nulla dimenticare”; e “meditare” (synballein), assimilare, coinvolgersi nell’intimo, cercare i collegamenti tra le cose viste e ascoltate, per scoprire sempre meglio la logica profonda dell’accaduto, per comprendere nella sua interezza. Per papa Francesco è il «tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi».

Essere sapienti e saper discernere dunque indica lo «stare sulla soglia», l’«arte di indugiare sulle cose, azioni solo apparentemente passive, in quanto esigono competenza nel selezionare, giudicare e criticare. Un tenere non solo gli occhi, ma la mente, i sensi... la vita (doti morali) aperti, intenti a connettere, a non dimenticare, a ripassare nel cuore.

Il sapiente [secondo la Bibbia] è colui che ha imparato ad imparare dall’esperienza; che non si spaventa di fronte all’ambiguità e alle contraddizioni del suo cuore e della realtà che lo circonda.

Nella Bibbia, un giovane re, inesperto, da poco succeduto al padre Davide, di fronte alla richiesta di Dio di indicargli che cosa concedergli, chiede il dono di un «cuore docile», che «sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (I Re 3,7-9). Salomone e la sua storia possono svelarci il segreto della sapienza del cuore.

Il «cuore» è il centro intimo e sacro di ogni persona, l’insieme di quelle forze vitali che rendono ognuno di noi unico e irripetibile: il pensiero, la memoria, i sentimenti, i desideri e la volontà. Il cuore sintetizza tutto ciò che ha a che fare con l’interiorità di noi come persone.

Il «cuore docile» [in ebraico lébh shoméá] è letteralmente «un cuore che ascolta», un cuore cioè capace di riconoscere e interpretare la realtà in cui si trova immerso.

L’ascoltare, che papa Francesco ci ha già suggerito come fondamentale per il nostro essere e operare come comunicatori e giornalisti, descrive dunque bene l’attitudine di cui dovrebbe essere permeata la nostra interiorità, quella profondità del cuore che conduce ad «abitare il nostro essere» per pensare e agire, osservare, documentare, raccontare il senso e il significato di ogni avvenimento, del continuo divenire della nostra storia personale, ma anche delle comunità a cui apparteniamo, del tempo di cui scriviamo e parliamo, della storia che viviamo. Ascolto, che secondo la grammatica della comunicazione di Francesco è camminare e vedere, andare e parlare.

L’essere sapienti non è qualcosa di sofisticato, riservato a qualche élite di privilegiati. È il modo concreto in cui si vive la storia, immersi nel tempo, orientati verso l’altro, il prossimo, perché il «cuore sapiente, che ascolta» vive e cresce in funzione del bene della comunità di cui ognuno di noi fa parte. Ancora una volta è lo sguardo positivo, che sa riconoscere chi incontriamo e ci vive accanto.

Come formarci a uno sguardo spirituale e alla sapienza del cuore? Come crescere in umanità e come umanità?

Riscoprendo il silenzio e la parola nel loro reciproco, fecondo rapporto. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio dell’ascolto di noi stessi e dell’altro; di imparare a tacere non nel senso di chiudersi nella prigionia delle nostre solitudini, ma di lasciarsi raggiungere dalla parola che evoca, attira, trasforma. È il non abdicare alla fatica di pensare, alla paziente “ruminazione” interiore e alla lentezza che appartengono alla gestazione (e gestione) del dialogo, dell’incontro.

Vivendo e respirando “in grande”, non nella piccolezza della nostra vita personale, lasciandoci attraversare da questo tempo e dalle sue sfide, partecipando al desiderio di libertà e giustizia. Vivere è desiderare la vita; è proteggerla, cogliere le sfumature di sogni, speranze, desideri e affetti delle relazioni. È accettare la strutturale fragilità della condizione umana e l’attitudine all’intranquillità, come spinta a sostenere il desiderio di vita, di gioia, di solidarietà che ci attraversa (M. Benasayag)

Crescendo in un forte senso di empatia, perché, come scriveva Kapuściński: «non posso fare a meno di vivere le cose insieme alla gente», perché noi riceviamo incessantemente dagli altri. Comunicare nell’autenticità realizza la convivenza nell’ottica dell’appartenenza a un “noi”, si esprime nella “buona reciprocità”, in forme di crescita interiore e di solidarietà interpersonale, di giustizia e di pace, rifiuta l’autoreferenzialità, la manipolazione, il dominio, il compromesso, la strumentalizzazione della persona, come pure dei popoli.

Mettendo a frutto i talenti che abbiamo: se non doniamo ci inaridiamo, ma soprattutto priviamo chi ci sta accanto di ciò che avremmo potuto dare e non abbiamo dato.
Dire è fare, rafforzare il pensare e il fare, lo scrivere e il narrare, il denunciare e il difendere, lo stare in prima linea e nelle periferie esistenziali, per custodire l’identità umana e il suo volto di grazia nel flusso delle connessioni digitali e dei mondi artificiali; arte della ricerca che esplora metafore alternative, terre inesplorate, immagini nuove e prospettive inedite per ravvivare il valore di una comunicazione autentica, dell’alterità e l’etica delle differenze nella convivialità dell’ecumene.

Consapevoli che dobbiamo fare i conti anche con la nostra inadeguatezza, il nostro egoismo, le nostre paure; non temere la sofferenza e le contraddizioni, né quelle che abitano il nostro cuore, né quelle che incontriamo nelle persone e nella realtà in cui viviamo: avremo bisogno a volte di un trapianto del cuore, di disponibilità a tornare indietro, a rialzarci, a cambiare, a con-vertici.

Scegliere di essere umani, nutrire il nostro cuore perché ascolti è andare controcorrente, soprattutto oggi, ma è la sorpresa ad ogni curva del cammino. Comunicare e informare è un modo di vedere il mondo, «una forma di amore del prossimo e del popolo, amore che si manifesta principalmente nell’offrire alle persone informazione e formazione, nell’aiutarle a pensare, nel coadiuvarle nelle scelte, nell’aiutarle ad essere persone» (Conferenza Episcopale del Perù).

L'autrice è Suor Maria Antonia Chinello, Figlie di Maria Ausiliatrice, giornalista, Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione «Auxilium» di Roma

Ultima modifica: Sab 11 Mag 2024