In un mondo di fake...
Nella quinta edizione di “Nuove reti, rinnovate professioni”, evento formativo annuale organizzato da UCSI Toscana a Quercianella (LI) insieme all’Ordine dei Giornalisti lo scorso 1 e 2 settembre giornalisti e operatori della comunicazione hanno affrontato il problema delle notizie “bufala”.
La rete è una dimensione affascinante quanto complessa e pericolosa, in cui tutti hanno libertà di esprimere ogni pensiero, postare video, dare apprezzamento o screditare chiunque, creare informazioni fasulle, inconsciamente o volontariamente, senza limiti e freni. Proprio in questo mondo, che da virtuale – troppo spesso – ha ripercussioni serie e gravi sulla vita reale, il ruolo dell’esperto della comunicazione è quanto mai fondamentale per verificare fonti e dati, come ha spiegato Bruno Mastroianni (giornalista, docente Pontificia Università della Santa Croce e autore televisivo) nel suo intervento sull’ “Evoluzione presente e futura del fenomeno delle “fake news”.
«Esiste una relazione diretta tra odio on line e fake news, tra i litigi in internet, sui social, e le “bufale” – ha spiegato Mastroianni – non si tratta solo della volontà o meno di trasmettere un’informazione errata, ma tale “fenomenologia della bufala”, e le reazioni che seguono ad essa, ci mettono di fronte ad un problema più grande: l’approccio con gli altri e il modo in cui ci relazioniamo nella comunità globale».
Esistono vari tipi di fake news, che possono essere addirittura suddivise in categorie: dalle più semplici, che magari riguardano ritocchi di immagini; le “mediaticamente modificate”, oppure le “seriose”, come la presunta critica di Trump alla Statua della Libertà, tratta da un blog che riportava la cosa nascondendo una velata ironia non compresa; le “frettolose”, come la (falsa) magnitudo 7.1 del terremoto in Centro Italia dello scorso 30 ottobre; e molte altre, vòlte a fomentare odio verso una categoria, un genere, un’etnia, una situazione.
«Il problema è l’aver fornito a tutti la possibilità di accedere direttamente alla comunicazione di massa, e di poter scrivere tutto ciò che si vuole, senza possedere alcun strumento culturale per gestire l’informazione. Oggi, nero su bianco, si legge tutto ciò che le persone hanno “in pancia”». E troppo spesso senza filtri. Ma chi compie il lavoro di selezione delle informazioni e di verifica delle fonti? Il giornalista ha affrontato questo problema da sempre, anche se oggi la mole di input da valutare e verificare è enorme. «È l’algoritmo che cerca di organizzare tale quantità di dati, tramite le ricerche su Google, prima fonte d’informazione per l’utente medio nel mondo, i like, gli hashtag: le nostre scelte fanno sì che l’algoritmo possa conoscerci».
D’altra parte il mondo è cambiato, la tecnologia ha aperto una nuova dimensione. Eppure, questa immensa possibilità d’espressione e di conoscenza genera anche smarrimento: sfiducia verso gli operatori della comunicazione, verso i mass media, verso le istituzioni. È anche una sfida antropologica, che affonda le radici nella nostra storia, in desideri – o necessità – umani: «Sui social o nei forum si cerca spesso di sviluppare una relazione con chi “la pensa come noi”: in questo modo si hanno meno problemi, a discapito della realtà dei fatti. Si creano delle bolle di opinioni omogenee, cioè tribù virtuali che si riconoscono per una o più scelte, e da cui emergono “capi popolo” che spesso speculano su questo sistema». In questi gruppi ci poniamo di fronte all’unica vera realtà, che di virtuale ha ben poco: la difficoltà del confronto con l’altro, con chi ha idee diverse dalle nostre. Dell’ascolto del prossimo.
Vedi qui l’intervista a Bruno Matroianni durante il confronto #nuovereti (a cura di R.Clementi)