Raccontare le migrazioni, a Cagliari incontro Ucsi con il presidente della Comunità di Sant'Egidio
Diciotto associazioni cattoliche impegnate da decenni nell'ambito delle migrazioni hanno sottoscritto e proposto ai candidati al Parlamento una nuova agenda sulle migrazioni in Italia.
Tra le varie organizzazioni cristiane firmatarie la proposta c'è anche la Comunità di Sant'Egidio, che da oltre cinquant'anni a Roma, tra le stradine di Trastevere, si occupa dei poveri, della pace, del dialogo interreligioso ed ecumenico.
Fondata nel febbraio del 1968 da Andrea Riccardi, a Sant'Egidio con il tempo la passione spirituale è diventata passione civile e sociale.
Dal 2006 il presidente della Comunità di Sant'Egidio è Marco Impagliazzo, professore ordinario di storia contemporanea, che nei giorni scorsi è intervenuto nell'aula Magna della Facoltà Teologica di Cagliari sul tema proposto dall'ultimo numero di Desk, rivista dei giornalisti cattolici, "Raccontare le #MIGRAZIONI".
Professor Impagliazzo cos'è l'agenda delle migrazioni in Italia che sottoponete ai candidati al Parlamento?
<E’ una serie di proposte per regolamentare il fenomeno migratorio che al momento ha poche regole. Si potrebbero fare delle piccole cose che solleverebbero la vita di chi già è migrato e di chi ha bisogno di migrare, per esempio i corridoi legali. Al momento non è prevista una via legale, perché per arrivare nel nostro paese le quote sono ridotte al minimo: non stupiamoci allora se in preda alla disperazione i migranti finiscono preda dei trafficanti, bisogna combattere i trafficanti ma dare anche la possibilità a chi ha bisogno di poter migrare in sicurezza. Non dimentichiamoci che anche noi ne abbiamo bisogno.>
L’idea dei corridoi umanitari è vostra, di Sant’Egidio: come è nata?
<Nasce dalla grande sofferenza vissuta da tante persone che osservavano impotenti all’immagine del piccolo Aylan, il bambino curdo siriano ritrovato morto nel 2015 sulla spiaggia di Boudrum in Turchia, o dei tanti bambini morti affogati nel mare del Mediterraneo. Cosa fare per evitare che tante persone finissero nelle mani dei trafficanti di uomini e nello sfruttamento di criminali? Non si poteva rimanere immobili ma bisognava fare come hanno fatto in Germania dove la cancelleria Merkel si è mobilitata per accogliere un milione di migranti. Noi abbiamo trovato delle regole europee che nessuno aveva mai pensato e che consentivano di aprire dei corridori umanitari per dare la protezione ai migranti, a chi fugge dalla guerra anche se non aveva riconosciuto lo status di rifugiato come profugo; questo è potuto accadere grazie alla mobilitazione di tante famiglie, associazioni e parrocchie che si sono impegnate pagando le spese e garantendo i corridoi umanitari>.
La stampa come racconta le migrazioni?
<L’Italia è il paese europeo in cui c’è maggior divario tra la percezione del fenomeno migratorio e la realtà. Questo significa che la maggior parte degli italiani non sono a conoscenza dei dati reali delle migrazioni e la visione prevalente è negativa, si pensa che prevalga fortemente la religione musulmana, c’è una situazione da sanare. La stampa ha parte delle responsabilità ma è soprattutto il mondo politico che continua a soffiare sul fuoco delle polemiche non dando le informazioni reali. Nel mondo globalizzato le persone non hanno le risposte e la cultura necessaria per comprendere le novità: faccio un appello perché la stampa svolga la sua funzione di informazione reale e il suo ruolo di pacificazione della società. Un conto è informare sui fatti e gli eventi, anche quelli negativi, altro è gonfiare e amplificare certe problematiche>
I mass-media presentano le migrazioni senza mai raccontare le storie delle persone coinvolte
<Quando si parla dei migranti li si vede solo come lavoratori, come quando negli anni ’60 in Svizzera si diceva “aspettavamo braccia, sono arrivati uomini e donne”. Il problema è aiutare a vedere dietro ogni persona la realtà da cui viene, spesso di sofferenza e di dolore. Grazie ai corridori della Comunità di Sant’Egidio ho conosciuto tanti siriani, persone e famiglie che hanno visto le loro vite distrutte dalla guerra: come si può fare soltanto un ragionamento sulla questione del lavoro e dell’economia se si muore per la guerra o per mancanza del lavoro? Parlare solo dei migranti economici è un falso problema, è un tema mal posto>.
Giunti ormai al termine della campagna elettorale, sul tema delle migrazioni la politica sta perdendo la propria credibilità?
<Come in ogni campagna elettorale il dibattito è schiacciato sul presente per guadagnare più voti, si fanno promesse e letture della realtà che non corrispondono alla verità. Il problema della politica in Italia è avere il fiato corto e non di prospettiva sulle grandi questioni. Le due grandi questioni del 21° secolo sono le migrazioni e gli anziani: cosa stiamo facendo per gli anziani a cui giustamente il progresso e il successo della medicina hanno dato più anni di vita? cosa facciamo per invertire la deriva demografica in Italia che si sta spopolando? Cosa stiamo facendo per ridurre il debito pubblico che peserà sulle spalle delle future generazioni? Ci sono grandi questioni di lungo periodo a cui la politica deve dare risposte e non accontentare l’uno o l’altro con promesse elettorali.>
Professor Impagliazzo, come siete riusciti a trovare soluzioni di pace che sembravano irrealizzabili?
<Alcune volte abbiamo offerto una sponda diversamente irraggiungibile, ma alla base del nostro agire c’è molta preghiera. In tutte le comunità, ormai sparse nel mondo, non esiste un’azione che non parta dalla preghiera e ogni mese facciamo un incontro di preghiera per la pace. Nei paesi periferici del mondo dove siamo presenti abbiamo conoscenza della realtà e delle storie che ci raccontano, tocchiamo con mano la carne dolente di queste persone. Poi c’è la perseveranza, perché la pace non si ottiene in un giorno ma c’è un processo molto lungo e bisogna avere pazienza. Serve soprattutto molta riservatezza perché i colloqui avvengono per mesi e mesi a Sant’Egidio e fanno in modo che le parti in lotta si fidino di noi e che le questioni non vengano immediatamente messe davanti l’opinione pubblica ma soltanto quando si trova una soluzione. Lavorando in Africa per la pace in Mozambico nel 1992 abbiamo scoperto che i cristiani hanno un’energia di pace che devono spendere e mettere a frutto>.