Ritornare a pensare interiormente. La provocazione di Francesco di Sales

Qualche settimana fa in Facebook mi chiedevo insieme a un amico teologo se persone con responsabilità – giornalisti, politici, uomini di impresa, ecc. - immersi nei loro mille impegni hanno ancora tempo per riflettere e approfondire i temi che affrontano. Ci chiedevamo: quando trovano il tempo per studiare e approfondire i temi di loro responsabilità? Tra una chat e una telefonata? Tra un colloquio e una riunione? Tra una pressione lavorativa e l’altra?...

Ce lo siamo chiesti perché sappiamo quanto sia duro studiare e scrivere, riflettere e rielaborare contenuti. L'esperienza della “solitudine culturale” è per tutti difficile ma è anche l’unica che può produrre forme di vita nuova e autentica.

L'uso dei media e soprattutto dei social può però essere una lama a doppio taglio. Noi li usiamo e sappiamo che sono una estensione reale della vita relazionale. E questo funziona. Ma quando tolgono tempo, soprattutto a persone che hanno responsabilità, e si diventa schiavi attraverso un uso compulsivo, oppure sono solo lo specchio di forme narcisistiche per fare vedere la propria faccia senza costruire idee, portare contenuti e creare bene comune (sono parecchi i politici, i giornalisti ma ahimè anche tanti uomini e donne di Chiesa)... allora questa dinamica chiede una riflessione seria. Ancora più pericoloso è quando si alza la voce, non si ascolta la posizione dell'altro e si creano notizie false che poi diventano virali!

Ma quanto giornalismo parla a slogan e a cliché perché non si forma e non si prepara? E quando il giornalismo fomenta e aumenta le paure?
C'è un'unica strada. Ma bisogna sceglierla. La parola ha bisogno di silenzio. Va sedimentata. Poi ha bisogno di approfondimento. E poi ancora ha bisogno di confronto per capire se è ragionevole e può essere fruttuosa. Di parole gridate la cultura non ha bisogno, perché mettono in pericolo la pace e la democrazia. Sono come una goccia pericolosa che nel silenzio può spaccare le rocce.

È per questo che in casi così bisogna ritornare ad essere “giornalisti contemplativi” capaci di distinguere il silenzio che genera la parola vera dai rumori: “Esiste un silenzio che è un elemento primordiale sul quale la parola scivola e si muove, come il cigno sull’acqua. Per ascoltare con profitto una parola, conviene creare dapprima in noi stessi questo lago immobile...La parola sorge dal silenzio, e al silenzio ritorna” scriveva Jean Guitton, in "La Solitude et le silence".
Solo questa parola che rigenera il giornalismo e la sua missione rende il giornalista credibile, autentico e libero. Certo ci potrebbero trattare da ingenui o considerare buonisti. Ma non ci sono alternative all’orizzonte capaci di costruire (magari) dopo aver distrutto. Nell’era della post-verità non dobbiamo tanto preoccuparci di riflettere su cose è “post” ma sul significato di “verità”.

Questo ce lo insegna anno dopo anno la vita di Francesco di Sales che la Chiesa ha scelto come patrono dei giornalisti. Anche il suo tempo per lui è stato di post-verità. Eppure la sua convinzione era profonda al punto che diceva: “Bisogna che le nostre parole siano infiammate, non da grida o gesti smisurati, ma dall’affetto interiore; devono uscire dal cuore più che dalla bocca. Si ha un bel dire, ma al cuore parla il cuore, mentre la lingua parla soltanto alle orecchie”.
Già, ma i tempi del cuore che elabora e conforma la parola scritta e parlata sono lunghi e difficili. Per questo infatti il giornalismo, soprattutto quello cattolico fatto di giornalisti credenti, può solo essere un “giornalismo di frontiera”. Perché la vita di Francesco di Sales è stata una “vita di frontiera”: a cavallo tra due secoli - il rinascimento lasciava spazio al barocco – e alle tensioni tra confessioni religiose. Ha dovuto soffrire molte contraddizioni del suo tempo che gli fecero morire il mondo che lo aveva cresciuto. Poteva arrendersi e rimpiangerlo, ma Francesco di Sales è rimasto sereno grazie a quella presenza che sentiva abitare il suo cuore e non lo abbandonava.

La sua conversione non cessa di stupire anche quanti non credono. Aveva tutto ma gli mancava l’essenziale. Dalla Chiesa è stato dichiarato “dottore dell’amore”. Egli era convinto che nel trattare con gli uomini, inclusi gli eretici, bisogna sempre evitare “l’aceto”, ma usare la dolcezza, la comprensione, la stima, il dialogo serio e sincero. Diceva: “Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”.
La gente lo amava perché si sentiva amata da lui. L’Enciclopedia Garzanti della Letteratura definisce san Francesco così: “Elegante predicatore e prosatore alieno dai toni aspri, abile nell’intrecciare immagini e idee”.

La sua forza è stata la capacità di accogliere la sua debolezza. Come prete inizia a vivere una serie di sconfitte. Dal pulpito non è ascoltato e così decide di pubblicare dei foglietti volanti, simili a grandi tweet del tempo! Li faceva scivolare sotto gli usci delle case o li affiggeva ai muri. Questo modo diventa una provocazione anche per noi per fermarsi, far depositare la parola e rilanciarla nutrita di vita e di libertà.
Dai suoi scritti egli raccomanda, prima di accogliere un’idea o una persona, di accogliere prima se stesso: “È necessario sopportare gli altri, ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi ad essere imperfetti”. Francesco di Sales è apparentemente un perdente, come spesso si sentono molti di noi; diceva: “Bisogna avere un cuore capace di pazientare; i grandi disegni si realizzano solo con molta pazienza e con molto tempo”. Bisogna pazientare, il mondo non lo salvano i giornalisti che invece possono contribuire a spiegare e narrare il perché è stato salvato.

Papa Francesco chiede al giornalismo di “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”. È questo il Tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2017. Raccontare la vita del mondo e degli uomini come buone notizie, altrimenti “anestetizzare la coscienza o farsi prendere dalla disperazione sono due possibili malattie alle quali può condurre l’attuale sistema comunicativo”. Continua l’anticipazione del documento: “È possibile la disperazione, invece, quando la comunicazione viene enfatizzata e spettacolarizzata, diventando talvolta vera e propria strategia di costruzione di pericoli vicini e paure incombenti”. Ma in mezzo a tale frastuono, scrive il Papa, si ode un sussurro: “Non temere, perché sono con te.”

Per comunicare speranza e fiducia allora dobbiamo sintonizzarci con Francesco di Sales che ai giornalisti lascia un testamento: “Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo”. Non è infatti rimpiangere di fare altro, ma convertire il senso del tempo e di ciò che già facciamo. Non è la quantità di cose da fare che ci realizzano, ma la qualità e profondità di come possiamo viverle. Ci lascia anche un insegnamento: “Vi garantisco che ogni volta che sono ricorso a repliche pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno di più per amore e carità che per severità e rigore”.
Certo, tutto questo non è facile, ma sotto la sua protezione è possibile!

Ultima modifica: Lun 23 Gen 2017