130.000 contributi fra video e foto, 4 milioni pagine viste e un milione di utenti unici nell’ ultimo mese. Questi i numeri della piattaforma web italiana di video giornalismo partecipativo, on line dal 2008 – In una intervista a Lsdi Angelo Cimarosti, uno dei suoi fondatori, racconta l’ esperienza che ha portato YouReporter a diventare uno dei più grossi centri di giornalismo partecipativo in Europa, bacino di materiali anche per le grandi testate, come è avvenuto in occasione di avvenimenti drammatici come il terremoto in Abruzzo, la strage di Viareggio, l’ alluvione in Veneto. Una piattaforma di condivisione di materiali audio e video in cui il cittadino è realmente l’ editore di se stesso – Materiali che, osserva Cimarosti, possono integrare, non certo sostituire il lavoro giornalistico: giornalismo “partecipativo” è la giusta definizione del servizio offerto da YouReporter, in caso contrario si tratterebbe di “giornalismo suppletivo”. Non è la stessa cosa.
In realtà l’idea – ha aggiunto – è rivoluzionaria perchè i mezzi ora lo permettono. Prima internet, poi la diffusione dei device. Però è la strada che mi ha sempre affascinato, quella dell’ allargamento delle fonti del giornalismo e una partecipazione allargata ai processi di produzione delle news. Perchè è bene dirlo subito, per quanto riguarda il nostro punto di vista di partenza, ed anche per l’idea che ci siamo formati passo passo: il citizen journalism, o meglio il “giornalismo partecipativo” (nella sua valenza etimologica del “prendere parte”) non è un altro giornalismo. Per esserlo gli mancano alcune tappe della filiera, come per esempio la verifica e la gerarchizzazione editoriale. E’ proprio l’allargamento del panorama, la possibilità di avere più fonti. E, da parte dell’utente, quello di raccontare in modo più efficace le proprie storie e il proprio punto di vista. E’ una grande occasione di comunicazione, con qualche ovvio rischio. Quello che se i giornalisti e i media mainstream non fanno poi il proprio lavoro, quello di verifica e di correlazione delle notizie, si rischia il fake, o peggio l’infortunio giornalistico.
L’idea nasce dalla constatazione – ha concluso – che in giro c’era molto materiale amatoriale, ma nessun luogo in rete per farlo arrivare. Con l’esperienza giornalistica sul campo, magari ti trovavi sul luogo di un fatto, c’era una persona che aveva un filmato su una telecamera, ma poi non sapeva come inviarlo. La scommessa è stata realizzare un portale di condivisione di foto e video che potessero avere interesse giornalistico ma mandate dagli utenti, a libero accesso per le testate, seguendo le regole di citazione. Per far questo non bastavano due giornalisti, io e Stefano De Nicolo, ma c’è stato bisogno di aggiungere un informatico Alessandro Coscia, e un avvocato Luca Bauccio. In questo modo eravamo un team equilibrato per la start up: abbiamo fatto tutto da soli, nessun finanziamento, nessuna partnership esterna e anche, volutamente, nessun modello di business. Ce lo potevamo permettere: niente banche, niente soci occulti di maggioranza, niente padroni, niente debiti. (LSDI)

