16 Novembre 2011
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GIORNALISTI: SCOMPARSO GIACOMO DI IASO MOLTO NOTO PER IL SUO IMPEGNO NELLA PROFESSIONE E NEL SINDACATO. “IL MIO AMICO GIACOMO”:IL RICORDO DI MAURO BANCHINI

Di_Iasio_2Il giornalista Giacomo Di Iasio (nella foto) , di 58 anni, e’ morto nell’ospedale di Arezzo.Era molto conosciuto, anche in ambito nazionale, per il suo impegno nella professione e nel sindacato. Lascia la moglie Fiorenza che lo ha assistito fino all’ultimo momento.
Dopo esperienze pubblicistiche in varie testate (carta stampata e televisive), nel 1988 era entrato, vincitore di concorso, nell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale della Toscana iniziando subito una battaglia sindacale per il riconoscimento del praticantato, la valorizzazione professionale ed etica di questo giornalismo, la contrattualizzazione dei giornalisti occupati negli uffici stampa degli enti pubblici. Negli anni Novanta, fornì un appassionato apporto di competenza nel lungo dibattito che nel giugno 2000 portò al varo, bipartisan, della legge 150: la norma che regola le attività di informazione e comunicazione nella PA.
A lungo presidente del Gruppo toscano di specializzazione (Gus) dei giornalisti di uffici stampa, ha rappresentato le istanze di questo giornalismo in sede di Fnsi. Inventore e segretario generale del premio internazionale “Giornalismo: l’addetto stampa dell’anno”, ha lavorato a Roma, sempre come giornalista, prima alla Conferenza Stato Regioni e poi presso la sede romana della Regione Calabria come collaboratore del presidente Agazio Loiero, per poi rientrare a Firenze nell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale della Toscana; fino al luglio 2010, quando si manifestarono i primi segni della grave malattia, un tumore al cervello, che lo ha portato a una dolorosa morte.
I funerali il 16 novembre alle ore 15, nella chiesa di Policiano (frazione del Comune di Arezzo dove risiedeva).
Riportiamo un ricordo del collega Mauro Banchini
IL MIO AMICO GIACOMO
Ho fatto in tempo a vederlo l’ultima volta. Ieri, lunedì 14 novembre, quando sono salito al quarto piano dell’ospedale di Arezzo dove ha passato l’ultima settimana della sua “vita”.
“Vita”? Parola grossa, se applicata alla condizione in cui ieri ho trovato il mio amico Giacomo ormai pesantemente aggredito da una “sorella sofferenza” che si stava trasformando in “sorella morte”. Anch’io, credente, trovo difficile definire “vita” la condizione ultima di Giacomo: la sua non conoscenza, il suo dipendere da cure palliative, i suoi rantolii.
Ma come mi è capitato in altre circostanze simili, il lungo calvario di Giacomo – che fino da ultimo ha sempre tenuto a gridare di volercela fare, di voler battere il male, di voler addirittura tornare a quel lavoro che amava tanto e che gli ha fatto fare tantissime telefonate attaccato alle onde di cellulari forse, chissà, colpevoli del male – quel Calvario costituisce un dono. E, dunque, è manifestazione di vita.
Ieri non sono stato io a portare qualcosa a Giacomo. Non mi era, tecnicamente, possibile. E’ stato lui a regalarmi qualcosa (così come ha fatto Fiorenza, la moglie, ripetendo su quel corpo gesti chissà quante altre volte fatti in questi lunghi mesi: carezze, baci, parole dolci, prove di amore verso chi stava andando Altrove).
Con Giacomo siamo stati compagni di stanza, all’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale, per quasi 10 anni. Mai uno screzio o una parola cattiva. Sempre rispetto. E amicizia.
Tengo ancora sulla scrivania una medaglia pesante, in bronzo, realizzata da un suo amico artista, con una frase sul valore dell’amicizia. Me la donò all’inizio degli anni 2000, quando le strade della vita ci fecero lasciare quella piccola stanza dove avevamo impostato azioni professional-sindacal-ordinistico-politiche.
Dovendo sintetizzare Giacomo in una parola, e bene consapevole dei rischi di una retorica sempre in agguato in queste circostanze, sceglierei “passione”. Ce ne metteva tanta, così come ci metteva puntigliosità in un carattere che, come tutti i caratteri delle persone vere, a qualcuno poteva anche, liberamente, non piacere.
Se la legge 150 è nata – con il suo carico di imperfezioni ma anche con la sua netta affermazione di principi: chi sta in un ufficio stampa di un ente pubblico deve essere un giornalista; come tale è a servizio del cittadino e non del politico; deve avere un contratto giornalistico, come garanzia – certo lo si deve anche al lavoro, tenace e appassionato, di Giacomo.
Le ultime parole vive me le aveva dette pochi giorni prima: parole di amicizia che cercherò di conservare a lungo, come quelle che ho cercato di dirgli ieri nell’orecchio. Lui non poteva sentirmi: così, almeno, dicevano i medici. Io mi ostino a credere che abbia sentito, abbia capito, abbia sorriso. (BANCHINI)