Democrazia, media e potere nell’era della conoscenza è stato il titolo dell’intervento di Stefano Rodotà (nella foto) , Professore Emerito di Diritto Civile all’Università la Sapienza e Collaboratore di la Repubblica. Invitato dagli organizzatori della VI edizione del Festival internazionale del Giornalismo, Rodotà ha tenuto una lectio magistralis presso il Teatro Pavone di Perugia.” Democrazia e tecnologia possono convivere?”, è questa la domanda a cui ha tentato di dare una risposta il noto costituzionalista. Internet e i social media hanno aperto sicuramente un nuovo mondo per la comunicazione e per la democrazia, secondo l’ex garante della Privacy, tuttavia “i nuovi media rappresentano un diritto ma anche un rischio. Una democrazia diretta basata sul voto online rappresenterebbe un eterno sondaggio facilmente manipolabile dal potere”- ha sostenuto Rodotà. Nel flusso di notizie che oggi ci arriva dalla rete è sempre più difficile, a causa della velocità della comunicazione su internet, valutare e verificare fonti e notizie. Occorre in ogni caso una sempre maggiore vigilanza da parte degli operatori dell’informazione per selezionare le notizie, confermarle o smentirle. “Oggi negare l’accesso alla rete sarebbe come negare il diritto di cittadinanza” , ha concluso Stefano Rodotà. Citando un noto libro, Rodotà ha parlato del rischio di “Orwell ad Atene”, ovvero una società in cui il massimo della partecipazione dei cittadini, che nell’immaginario collettivo era la caratteristica delll’Atene classica, coinciderebbe con il massimo del controllo e della manipolazione da parte del potere come nella società descritta da Orwell. Il rischio è quello che la massa di dati, scelte, gusti personali e informazioni che i cittadini mettono online, possano essere usati e manipolati dal mercato prima e dai poteri forti poi. Se dunque internet ha facilitato la comunicazione e la partecipazione al dibattito pubblico è necessario un impegno quotidiano e costante da parte di tutti per difendere la democrazia che è un qualcosa che si conquista giorno per giorno e non si può delegare a un mezzo di comunicazione, per quanto efficace e diffuso.DIBATTITO SU RUOLO MEDIA E OCCIDENTE. La paura dell’Islam in Occidente e’ ”infondata e ideologica”, perche’ il modello prevalente nei partiti islamici arabi ”e’ quello turco, con certo quello saudita”. Ma e’ stato proprio l’Occidente ad aver ”sposato” per decenni un modello islamista, come il wahabismo saudita. A sottolinearlo al Festival Internazionale del Giornalismo, in corso fino a domenica a Perugia, il giornalista e scrittore libica Farid Adly, ospite di un dibattito sulle rivoluzioni arabe ”incomplete” e della trasmissione Rai ”Radio anch’io”. Le sorti delle primavere arabe sono ancora molto difficili da prevedere, e’ stato piu’ volte sottolineato nel dibattito di Radiorai, ma a contraddistinguere gli eventi di questo ultimo anno e’ mezzo, ha sottolinato il giornalista del Sole 24 Ore Ugo Tramballi, e’ stato il fatto che ”per la prima volta nella loro storia i paesi arabi si sono impadroniti del loro destino”. E anche la’ dove vi e’ stato un ruolo dell’Europa, ha rilevato, dietro vi e’ stata una spinta della Lega Araba, o di alcuni Paesi al suo interno. Quanto al presidente Usa Barack Obama, ha proseguito Tramballi, anche il suo discorso del 2009 al Cairo, che pur aveva suscitato tante speranze, ha influito poco sugli eventi di due anni dopo. ”Obama – ha osservato – si dimostrera’ un grande presidente interno e non di politica internazionale”.
Al centro del dibattito, anche il ruolo dei social media e di quelli tradizionali nelle rivolte arabe, su cui e’ intervenuto il direttore dell’Ansa Luigi Contu. ”Il nostro mestiere deve essere aperto a tutte le fonti – ha sottolineato Contu, includendo appunto anche i social media – e le agenzie in questo hanno un grande ruolo”. Tuttavia, ”il lavoro di verifica dei giornalisti deve continuare, ed e’ questo – ha sottolineato – che li fa integrare nel sistema dei nuovi media”.
Contu si e’ soffermato inoltre sul ruolo dell’Italia negli eventi recenti del mondo arabo. ”Dal dopoguerra in poi l’Italia ha sempre avuto una grande attenzione diplomatica e politica per quell’area. Putroppo – ha aggiunto – e’ il ruolo dell’Italia che si e’ impoverito nel mondo e rispetto ad altre potenze europee, e questo ha avuto riflessi sulla nostra capacita’ di interlocuzione e sostegno allo sviluppo dei quei Paesi”.
Sempre di nuovi media ha parlato anche Donatella Della Ratta, specialista di nuovi media nel mondo arabo. Su di essi il meccanismo ”e’ opposto” ai media tradizionali, ”prima si da’ la notizie a poi la si verifica”. Ma e’ appunto anche tramite Twitter, ha sostenuto, che si puo’ trovare una rete di persone di cui fidarsi e con le quali tale verifica e’ possibile. Quanto al ruolo svolto nella primavera araba da canali satellitari come Al Jazeera, se questa e’ stata la prima voce araba in un mondo arabo, ha osservato la ricercatrice, ora ci si sta avviando ”verso una scenario plurale”. E se e’ vero che la tv del Qatar ha coperto alcuni eventi ”in modo un po’ parziale” – ha aggiunto – la sua copertura nel caso libico era per certi aspetti analogo a quello del giornalismo ”embedded” delle tv statutensi in Iraq. (ANSA,MAGMAZONE)

