Se la tv generalista è accusata spesso di non dare spazio alle inchieste e all’informazione dal basso, non vale lo stesso per il web. A dircelo è il rapporto Watchdog 2012, stilato da Altratv.tv, l’osservatorio sulle web tv italiane e sui media locali in Rete nato nel 2004.
Secondo quanto rilevato dalla V edizione del rapporto (che ha coinvolto 642 web tv e 815 testate), sono le tv on line e le testate digitali a occuparsi maggiormente di inchieste, e a stringere rapporti diretti con i cittadini, oggi sempre più anche utenti del web.
Le iniziative digitali nascono spesso (nel 45% dei casi) per volontà dei cittadini. Più raramente (15%) sono le pubbliche istituzioni a richiederle. In aumento quelle di associazioni, aziende e gruppi di interesse (40%). Nonostante il 64% dei “watchdogger” siano enti pubblici, solo il 22% ottiene incentivi, il 12% ha finanziamenti europei e l’8% intrattiene rapporti con privati. In realtà, però, la maggior parte di questi speciali servizi di informazione va avanti grazie all’autofinanziamento tramite sottoscrizioni, donazioni, crowdfunding (60% dei casi).
Molte di queste tv e testate on line si sono specializzate, sono diventate sempre più capaci di monitorare l’oggetto della denuncia e di seguire l’evolversi dei fatti, con dibattiti, servizi giornalistici, reportage. E soprattutto sono diventati in grado di far riferimento a strumenti e figure semi-professionali o professionali.
Raramente i cittadini possono inserire i propri video in automatico. QUesto avviene solo in alcune piattaforme “social”, come Youtube o Vimeo.
Chi sono i reporter di queste inchieste? Ce lo racconta Giampaolo Colletti, fondatore di Altratv.tv, sul blog Che Futuro. (ILJOURNAL)

