Debutto pubblico a Roma per l’Osservatorio di mediaetica dell’UCSI. In un incontro presso la FNSI è stato rilanciato “il dibattito sulle pratiche dei giornalisti, e degli altri professionisti dell’informazione, riguardo alla politica”. Una parola d’ordine: spezzare il “circolo vizioso dell’autoreferenzialità” per promuovere “un racconto della politica più equilibrato”.Le responsabilità dei giornalisti
“Quanta autonomia, quanta competenza trovano applicazione nel modo di raccontare la politica dei telegiornali, dei quotidiani, dei blog? Hanno forse qualche responsabilità anche i comunicatori di fronte alla profonda sfiducia degli italiani verso la politica?”. L’Unione Cattolica della Stampa Italiana ha scelto il “tema più critico dei rapporti tra il sistema dei media e il Paese”, in linea con “l’essere” dell’Osservatorio di mediaetica: un “work in progress” che si propone di fornire “non giudizi ma riflessioni”.
“La necessità di riflettere sull’etica dei media e della professione giornalistica – ha spiegato Andrea Melodia, presidente nazionale dell’Ucsi – è una vecchia proposta dell’associazione risalente agli anni Novanta”. Ora si è costituito “un gruppo di lavoro aperto nel quale confrontarsi sulle scelte del percorso. L’intenzione successiva è di affidare a ricercatori universitari il compito di approfondire alcuni temi specifici delle professioni, ben sapendo che nulla si risolve nella sola ricerca, ma che senza cultura nulla può essere migliorato”. In questo senso va anche la scelta del tema dell’incontro: l’informazione politica.
Secondo Melodia, si tratta dell’“urgenza delle urgenze, vista la piega che sta prendendo la situazione politica in Italia”. Prioritario, per il presidente dell’Ucsi, è “ridare senso alla comunicazione di servizio pubblico, “che non è solo radiotelevisivo, non è solo RAI nè tantomeno è solo Santoro”, con l’idea, in particolare, che l’informazione è sempre un servizio ai cittadini”. Da qui alcuni “temi specifici per l’informazione politica”, a partire dalla richiesta di porre “domande vere” ai politici; quindi lasciare l’informazione politica per quanto possibile “fuori dall’infotainment” (informazione spettacolo), almeno quello di più basso livello; richiamare “all’etica della responsabilità” nel far rispettare le norme deontologiche esistenti; infine “colpire le distorsioni più evidenti della pratica professionale”.
“Quanta autonomia, quanta competenza trovano applicazione nel modo di raccontare la politica dei telegiornali, dei quotidiani, dei blog? Hanno forse qualche responsabilità anche i comunicatori di fronte alla profonda sfiducia degli italiani verso la politica?”. L’Unione Cattolica della Stampa Italiana ha scelto il “tema più critico dei rapporti tra il sistema dei media e il Paese”, in linea con “l’essere” dell’Osservatorio di mediaetica: un “work in progress” che si propone di fornire “non giudizi ma riflessioni”.
“La necessità di riflettere sull’etica dei media e della professione giornalistica – ha spiegato Andrea Melodia, presidente nazionale dell’Ucsi – è una vecchia proposta dell’associazione risalente agli anni Novanta”. Ora si è costituito “un gruppo di lavoro aperto nel quale confrontarsi sulle scelte del percorso. L’intenzione successiva è di affidare a ricercatori universitari il compito di approfondire alcuni temi specifici delle professioni, ben sapendo che nulla si risolve nella sola ricerca, ma che senza cultura nulla può essere migliorato”. In questo senso va anche la scelta del tema dell’incontro: l’informazione politica.
Secondo Melodia, si tratta dell’“urgenza delle urgenze, vista la piega che sta prendendo la situazione politica in Italia”. Prioritario, per il presidente dell’Ucsi, è “ridare senso alla comunicazione di servizio pubblico, “che non è solo radiotelevisivo, non è solo RAI nè tantomeno è solo Santoro”, con l’idea, in particolare, che l’informazione è sempre un servizio ai cittadini”. Da qui alcuni “temi specifici per l’informazione politica”, a partire dalla richiesta di porre “domande vere” ai politici; quindi lasciare l’informazione politica per quanto possibile “fuori dall’infotainment” (informazione spettacolo), almeno quello di più basso livello; richiamare “all’etica della responsabilità” nel far rispettare le norme deontologiche esistenti; infine “colpire le distorsioni più evidenti della pratica professionale”.
Ripartire dalla gerarchia delle notizie
“Raccontare, e costruire, lo stato sociale”; “credere, e dare fiducia, alle politiche dei territori”; spostare i riflettori “dalle istituzioni agli enti intermedi, alle famiglie con i loro problemi, le ONG, le associazioni, la salute dei partiti e dei sindacati, le chiese”. Sono tre delle indicazioni che emergono dall’intervento di padre Francesco Occhetta, scrittore e firma della “Civiltà cattolica”.
Per padre Occhetta “politica e giornalismo sono come due vasi comunicanti. Se il livello della politica è molto alto significa che il giornalismo è molto dipendente”, mentre “quando a essere alto è il vaso del giornalismo significa che la politica è svuotata di valore e i centri decisionali si sono spostati altrove” rispetto alle istituzioni, “ad esempio nei salotti della politica”, nei talk show, sul web. D’altronde “la crisi del rapporto che il giornalismo ha con la politica può essere un kairos, un momento favorevole”, affinché la professione giornalistica e i media ripensino le proprie dinamiche, i propri linguaggi.
Citando anche le Sacre scritture, Occhetta ha ricordato alcune incombenze tradizionali che spettano al giornalista: reperimento delle notizie, verifica delle fonti, gerarchizzazione delle notizie, interpretazione e contestualizzazione dei fatti, commento e presentazione delle notizie. Quasi tutte, ha aggiunto, messe radicalmente in crisi dalle trasformazioni tecnologiche. Solo l’interpretazione e la contestualizzazione dei fatti collocano “l’agire politico su un orizzonte”, rimediando all’attuale “info-obesità” (Eric Scherer), consentendo di filtrare le notizie e di ripresentarle entro un quadro interpretativo che, ad esempio, Internet non riesce non fornire.
“Raccontare, e costruire, lo stato sociale”; “credere, e dare fiducia, alle politiche dei territori”; spostare i riflettori “dalle istituzioni agli enti intermedi, alle famiglie con i loro problemi, le ONG, le associazioni, la salute dei partiti e dei sindacati, le chiese”. Sono tre delle indicazioni che emergono dall’intervento di padre Francesco Occhetta, scrittore e firma della “Civiltà cattolica”.
Per padre Occhetta “politica e giornalismo sono come due vasi comunicanti. Se il livello della politica è molto alto significa che il giornalismo è molto dipendente”, mentre “quando a essere alto è il vaso del giornalismo significa che la politica è svuotata di valore e i centri decisionali si sono spostati altrove” rispetto alle istituzioni, “ad esempio nei salotti della politica”, nei talk show, sul web. D’altronde “la crisi del rapporto che il giornalismo ha con la politica può essere un kairos, un momento favorevole”, affinché la professione giornalistica e i media ripensino le proprie dinamiche, i propri linguaggi.
Citando anche le Sacre scritture, Occhetta ha ricordato alcune incombenze tradizionali che spettano al giornalista: reperimento delle notizie, verifica delle fonti, gerarchizzazione delle notizie, interpretazione e contestualizzazione dei fatti, commento e presentazione delle notizie. Quasi tutte, ha aggiunto, messe radicalmente in crisi dalle trasformazioni tecnologiche. Solo l’interpretazione e la contestualizzazione dei fatti collocano “l’agire politico su un orizzonte”, rimediando all’attuale “info-obesità” (Eric Scherer), consentendo di filtrare le notizie e di ripresentarle entro un quadro interpretativo che, ad esempio, Internet non riesce non fornire.
La schiena diritta
Fra i limiti del giornalismo politico che, secondo il gesuita, andrebbero affrontati, affiorano la disponibilità a concedere il microfono ai personaggi politici senza che siano poste loro vere domande, cosicché “il politico parla direttamente al pubblico, quasi senza mediazione giornalistica, dando l’illusione di un rapporto diretto e personale”. Ancora: i politici di oggi “non sono abituati alle domande e giornalisti le fanno con difficoltà, anche perché vige la pessima abitudine che i giornalisti seguono la parte politica di cui condividono l’orientamento”. Occhetta sottolinea inoltre l’importanza del linguaggio: “Se Grillo grida al golpe bisogna che il giornalista spieghi cosa è un golpe vero”. Infine occorre “vigilare perché la politica non comprometta i principi di indipendenza, di imparzialità e di libertà” dell’informazione. “In questo sistema in cui sta crescendo una classe di giovani giornalisti precari, il giornalismo rischia da qui a dieci anni di svuotare il proprio ruolo di servizio pubblico”, senza più costituire una forma di “controllo della classe politica ed essere un garante della democrazia”.
Fra i limiti del giornalismo politico che, secondo il gesuita, andrebbero affrontati, affiorano la disponibilità a concedere il microfono ai personaggi politici senza che siano poste loro vere domande, cosicché “il politico parla direttamente al pubblico, quasi senza mediazione giornalistica, dando l’illusione di un rapporto diretto e personale”. Ancora: i politici di oggi “non sono abituati alle domande e giornalisti le fanno con difficoltà, anche perché vige la pessima abitudine che i giornalisti seguono la parte politica di cui condividono l’orientamento”. Occhetta sottolinea inoltre l’importanza del linguaggio: “Se Grillo grida al golpe bisogna che il giornalista spieghi cosa è un golpe vero”. Infine occorre “vigilare perché la politica non comprometta i principi di indipendenza, di imparzialità e di libertà” dell’informazione. “In questo sistema in cui sta crescendo una classe di giovani giornalisti precari, il giornalismo rischia da qui a dieci anni di svuotare il proprio ruolo di servizio pubblico”, senza più costituire una forma di “controllo della classe politica ed essere un garante della democrazia”.
La politica pop
Il prof. Gianpietro Mazzoleni, ordinario di Comunicazione politica alla Università degli Studi di Milano, ha svolto una riflessione su quelle forme di comunicazione politica che sono realizzate ormai in tutto il mondo attraverso la partecipazione dei personaggi politici nei programmi televisivi non specialistici, oppure attraverso la illustrazione satirica delle loro personalità. Così la “politica pop” perde la sua natura classica d’impegno e serietà per diventare e trasformarsi in “entertainment”. Si tratta di “una forma di comunicazione efficace, che può piacere o non piacere, ma è certamente più penetrante di altre forme di comunicazione; ed è ormai un fenomeno talmente diffusoche non ha senso, secondo Mazzoleni, cercare di sradicarlo. Secondo studiosi americani, ha ricordato, questa forma di comunicazione costituisce la sola possibilità di accesso alla informazione politica da parte di settori sociali altrimenti esclusi. Sulla ineluttabilità di questo fenomeno, che va però tenuto sotto controllo per evitarne degenerazioni di qualità, ha convenuto anche Emmanuele Milano, già vicedirettore generale della RAI e direttore di SAT2000.
Il prof. Gianpietro Mazzoleni, ordinario di Comunicazione politica alla Università degli Studi di Milano, ha svolto una riflessione su quelle forme di comunicazione politica che sono realizzate ormai in tutto il mondo attraverso la partecipazione dei personaggi politici nei programmi televisivi non specialistici, oppure attraverso la illustrazione satirica delle loro personalità. Così la “politica pop” perde la sua natura classica d’impegno e serietà per diventare e trasformarsi in “entertainment”. Si tratta di “una forma di comunicazione efficace, che può piacere o non piacere, ma è certamente più penetrante di altre forme di comunicazione; ed è ormai un fenomeno talmente diffusoche non ha senso, secondo Mazzoleni, cercare di sradicarlo. Secondo studiosi americani, ha ricordato, questa forma di comunicazione costituisce la sola possibilità di accesso alla informazione politica da parte di settori sociali altrimenti esclusi. Sulla ineluttabilità di questo fenomeno, che va però tenuto sotto controllo per evitarne degenerazioni di qualità, ha convenuto anche Emmanuele Milano, già vicedirettore generale della RAI e direttore di SAT2000.
Si può fare un giornalismo diverso
“Spezzare il circolo vizioso dell’autoreferenzialità dell’informazione politica” per promuovere “un racconto di essa più equilibrato”. È la richiesta che ha fatto da filo conduttore agli interventi dei tre direttori di testate presenti: Marco Tarquinio (“Avvenire”), Monica Maggioni (“Rai News24”) e Alessandro Barbano (“Il Mattino”). Per Tarquinio, “occorre riflettere attentamente su ciò che sta accadendo”, perché “correggere le storture dell’informazione” e “fare un giornalismo diverso si può”. Secondo il direttore di “Avvenire”, “non è vero che c’è richiesta d’informazione al ribasso” da parte della gente. Il problema è “aiutare a capire cosa c’è dietro i fatti che avvengono”. Da qui l’invito ai giornalisti a “non stare su una posizione difensiva” e a “dimostrare la forza che può esercitare il nostro ruolo”. Magari “raccontando come finiscono le storie. Pensiamo, ad esempio, al caso dell’Ilva cui oggi ‘Avvenire’ dedica la prima pagina. Ma quanti hanno aperto oggi con la notizia che la Corte Costituzionale ha giudicato infondate le questioni d’illegittimità sollevate dai giudici di Taranto circa il decreto ‘salva-Ilva’? – si è chiesto Tarquinio. “Eppure anche questa è una questione politica”.
“Spezzare il circolo vizioso dell’autoreferenzialità dell’informazione politica” per promuovere “un racconto di essa più equilibrato”. È la richiesta che ha fatto da filo conduttore agli interventi dei tre direttori di testate presenti: Marco Tarquinio (“Avvenire”), Monica Maggioni (“Rai News24”) e Alessandro Barbano (“Il Mattino”). Per Tarquinio, “occorre riflettere attentamente su ciò che sta accadendo”, perché “correggere le storture dell’informazione” e “fare un giornalismo diverso si può”. Secondo il direttore di “Avvenire”, “non è vero che c’è richiesta d’informazione al ribasso” da parte della gente. Il problema è “aiutare a capire cosa c’è dietro i fatti che avvengono”. Da qui l’invito ai giornalisti a “non stare su una posizione difensiva” e a “dimostrare la forza che può esercitare il nostro ruolo”. Magari “raccontando come finiscono le storie. Pensiamo, ad esempio, al caso dell’Ilva cui oggi ‘Avvenire’ dedica la prima pagina. Ma quanti hanno aperto oggi con la notizia che la Corte Costituzionale ha giudicato infondate le questioni d’illegittimità sollevate dai giudici di Taranto circa il decreto ‘salva-Ilva’? – si è chiesto Tarquinio. “Eppure anche questa è una questione politica”.
Narrare bene la politica
“Quanto facciamo i narratori di storie nell’informazione politica?”. Secondo Monica Maggioni, occorre partire da questo “focus” per riflettere su come la “politica viene oggi raccontata”. Spesso, infatti, “ci accontentiamo di essere attraversati dalle storie” senza lo sforzo di “raccontare e verificare ciò che i politici propongono”. Soffermandosi sulle notizie reperibili on line, per il direttore di “Rai News24” questo non farà sparire “il ruolo del giornalista” che, anzi, “servirà sempre di più anche nel sistema liquido della Rete: anche qui c’è bisogno di verificare, selezionare, gerarchizzare le notizie”, anche qui “dovrà esserci il ruolo del narratore come punto di riferimento”. La questione fondamentale per i giornalisti oggi, ha concluso Maggioni, è che “bisogna essere credibili” perché “è sulla partita della credibilità che si gioca il nostro ruolo”.
“Quanto facciamo i narratori di storie nell’informazione politica?”. Secondo Monica Maggioni, occorre partire da questo “focus” per riflettere su come la “politica viene oggi raccontata”. Spesso, infatti, “ci accontentiamo di essere attraversati dalle storie” senza lo sforzo di “raccontare e verificare ciò che i politici propongono”. Soffermandosi sulle notizie reperibili on line, per il direttore di “Rai News24” questo non farà sparire “il ruolo del giornalista” che, anzi, “servirà sempre di più anche nel sistema liquido della Rete: anche qui c’è bisogno di verificare, selezionare, gerarchizzare le notizie”, anche qui “dovrà esserci il ruolo del narratore come punto di riferimento”. La questione fondamentale per i giornalisti oggi, ha concluso Maggioni, è che “bisogna essere credibili” perché “è sulla partita della credibilità che si gioca il nostro ruolo”.
Competenza e formazione
Due le proposte avanzate da Alessandro Barbano (“Il Mattino”): “Spezzare tutti insieme l’attuale circuito vizioso dell’informazione politica” e “costruire un sapere giornalistico”, puntando quindi a una maggiore formazione. Esigenza, questa, sottolineata anche da Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana: “È necessaria un’informazione professionale, buona, qualificata. Un’informazione alta è motore di sviluppo anche per una politica alta e anche per l’economia del Paese”. Ecco, quindi, l’importanza dell’Osservatorio di mediaetica, ha concluso Lucio D’Alessandro, rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, per “rilanciare l’informazione come bene pubblico e porre l’attenzione sulla persona e sulla formazione: una formazione che, acnhe ai livelli più elevati come q uelli della scuola di giornalismo o della scuola di politica, non può rinunciare a un rapporto diretto tra l’università e gli studenti”. (SIR, UCSI)
Due le proposte avanzate da Alessandro Barbano (“Il Mattino”): “Spezzare tutti insieme l’attuale circuito vizioso dell’informazione politica” e “costruire un sapere giornalistico”, puntando quindi a una maggiore formazione. Esigenza, questa, sottolineata anche da Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana: “È necessaria un’informazione professionale, buona, qualificata. Un’informazione alta è motore di sviluppo anche per una politica alta e anche per l’economia del Paese”. Ecco, quindi, l’importanza dell’Osservatorio di mediaetica, ha concluso Lucio D’Alessandro, rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, per “rilanciare l’informazione come bene pubblico e porre l’attenzione sulla persona e sulla formazione: una formazione che, acnhe ai livelli più elevati come q uelli della scuola di giornalismo o della scuola di politica, non può rinunciare a un rapporto diretto tra l’università e gli studenti”. (SIR, UCSI)

