In Italia sono 2 milioni i professionisti che operano in tutti gli ambiti delle professioni creative. Non hanno un nome definito, possiedono alti livelli di formazione, sono ignorati da governo e istituzioni, ma producono il 5,8% del nostro Pil (80,8 miliardi di euro – rapporto 2013 Unioncamere/Fondazione Symbola). Più dell’industria automobilistica, più di Umbria, Liguria e Abruzzo insieme. Stiamo parlando di creativi per comunicazione, pubblicità, eventi e web: copywriter, art director, grafici, programmatori e sviluppatori. Ma anche di chi opera per moda, arti, spettacolo, industria, cultura, editoria, media, entertainment. Designer, autori, sceneggiatori, registi, scrittori, giornalisti, blogger, video-maker, editori. Artisti, fotografi, architetti. E poi stilisti, scenografi, coreografi, costumisti, montatori, compositori, illustratori, traduttori, curatori, ricercatori, artigiani di ricerca… Esponenti di nuovi linguaggi e tecnologie e di tutte quelle “professioni creative” che caratterizzano la nostra identità culturale e il made in Italy. Non sono identificati, tutelati, ascoltati, valorizzati. Non hanno rappresentanza politica, mediatica, sindacale. Non sono mai stati coinvolti nei processi consultivi e decisionali. Ora hanno difficoltà a continuare l’attività o a difendere le proprie imprese. Eppure creatività, ricerca tecnologica, arti e culture giovanili rappresentano il futuro del Paese. Al governo, con una lettera, hanno chiesto il riconoscimento della valenza strategica di creatività e ricerca tecnologica per il rilancio del Paese. Con l’impegno di Governo e forze politiche a individuare iniziative a sostegno, riformulando diritto d’autore e tutela delle idee. Con l’impegno dei creativi a aumentare la partecipazione alla vita sociale e politica. (PRIMA)
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