
Chi scrive per il web è figlio di un’editoria minore? Come si giustifica questa disparità di trattamento? “Perché si dovrebbe giustificare?”, risponde il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino. Dopo aver sottolineato che esiste una differenza sostanziale che riguarda la disponibilità economica delle diverse testate, dei diversi media, e “una valutazione dei costi dell’avviamento” del tipo di produzione editoriale, ha aggiunto: ”È naturale che un articolo scritto per un quotidiano delle dimensioni del Corriere della Sera abbia un compenso diverso rispetto a uno scritto per l’online. Anche perché se aggiorni cinque volte lo stesso pezzo, in teoria, non ti verrebbero corrisposti 40 euro ma 200, dato che l’aggiornamento implica un intervento di lavoro che va compensato. Magari non a prezzo pieno, ma va compensato”.Come si è detto, per il momento l’accordo sui pagamenti minimi è slittato, se ne riparlerà il prossimo 27 gennaio. Motivo del disaccordo non è la tabella in sé, ma chi ne beneficerebbe. Questo documento, spiega Iacopino, “era stato preparato da due gruppi dell’Ordine: quello dei precari freelance e quello della Carta di Firenze. Il 3 gennaio c’è stato un incontro con il segretario e il presidente della Fsni, che è anche presidente della Commissione lavoro autonomo. Avevamo convenuto che questa fosse la base comune per un confronto con la Federazione italiana editori giornali (Fieg), in sede di Commissione equo compenso”.
Una posizione condivisa che però sembra esser venuta meno, parzialmente, durante la riunione di due giorni fa, quando c’è stato un repentino cambio di rotta da parte della Fnsi. “Il cambiamento – chiarisce il presidente dell’Ordine – riguarda chi è inserito in quella tabella. Il testo che la Fnsi voleva inserire in delibera durante la riunione escludeva i lavoratori autonomi, cioè quasi tutti. Perché quelli che attualmente non sono autonomi, che hanno cioè un contratto parasubordinato, alla scadenza dello stesso, se passa questa interpretazione, non lo vedranno rinnovato. È evidente, perché se li togli fuori dai minimi…”. In altre parole, Iacopino spiega che tirar fuori dai minimi tariffari gli autonomi equivale a dire agli editori di non rinnovare alla scadenza tutti i contratti in essere, invitando i colleghi ad aprire una partita Iva, “un modo perfetto per aggirare l’equo compenso”.
Il documento di cui si parla, “scritto dalla direzione generale della Fieg, e poi accettato dalla Fsni”, recita: “Per i rapporti di lavoro, i quali, in ragione della completa autonomia di svolgimento della prestazione, sono qualificabili a pieno titolo come autonomi il compenso professionale non si presta ad essere assoggettato ai minimi tariffari, ma resta affidato alla libera contrattazione delle parti, anche nell’ambito di linee guida opportunamente dall’ordinamento professionale”.
Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti un accordo così concepito non s’ha da fare perché “vanifica di fatto la legge sull’equo compenso”. E aggiunge: “Sono sconcertato del fatto che la Fsni non abbia colto il significato di quella proposta della Fieg”. Già lunedì Enzo Iacopino aveva espresso su Facebook il suo disappunto: “Hanno tentato di convincermi in ogni modo che la proposta era conveniente. Per chi? Per gli editori, senza dubbio”. E ancora: “La libera contrattazione si può fare tra parti eguali, non tra giornalisti sfruttati e editori”. È questione di un comma, uno solo, ma cruciale e per trovare una soluzione si terrà una nuova riunione il 27 gennaio. E se il giorno seguente la Commissione non dovesse trovare un accordo, una proposta di retribuzioni condivise, il governo entro il 10 marzo ne presenterà una sua alla stessa commissione per l’approvazione, eventualmente a maggioranza.
Precariato e paghe vergognose sono molto comuni tra i giornalisti. Da qui l’urgenza di mettere nero su bianco un sistema che argini lo sfruttamento della categoria. I numeri parlano chiaro: su 106 mila giornalisti iscritti all’Ordine, solo il 19,1% ha un contratto di lavoro dipendente, 1 su 5, mentre la restante parte, migliaia di colleghi, viene pagata una miseria. “Anche 50 centesimi ad articolo”, sottolinea Enzo Iacopino. Certo, c’è anche chi riesce ad ottenere compensi significativamente più alti, anche a tre cifre. Ma sono in 14.000 ad avere redditi inferiori a 5.000 euro annui lordi. Un lavoratore autonomo o parasubordinato su cinque dichiara compensi compresi tra lo zero e i mille euro all’anno, per una retribuzione media di 433 euro per 2.096 Co.co.co e 477 euro per 3.231 “liberi professionisti” (rapporto Lsdi). Qual è invece il compenso per un “articolo 1”, un assunto? I dati li fornisce l’Fnsi: un redattore con più di 30 mesi ha una retribuzione lorda di 2.177,84 euro mensili (circa 83 euro al giorno); uno con meno di 30 mesi 1.551,61.
I lavoratori hanno diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, lo dice la Costituzione. E 50 centesimi ad articolo non evocano il concetto di dignità, piuttosto ricordano fame e precarietà. E gli editori possono non essere a conoscenza di questa situazione? Iacopino su Facebook scrive: “Bisogna impedire che si comportino come negrieri. Hanno bisogno degli schiavi perché senza di loro i giornali non andrebbero in edicola”. (ILDUCATO SCUOLA GIORNALISMO URBINO)