Durante la tavola rotonda è emerso che il processo culturale è già in atto ma deve coinvolgere il “sistema paese” attraverso le stanze della politica.
La giustizia riparativa infatti è un prodotto culturale. Esiste un prima e un dopo che coinvolge i familiari delle vittime di mafia. Ma il prima non viene mai preso in considerazione. Nella giustizia riparativa c’è posto per il racconto del dolore, quello spazio che in tribunale non è contemplato, essendo il luogo dove vengono raccontati i fatti oggettivi per la ricostruzione giudiziaria.
La giustizia riparativa è una grande opportunità, anche per tutte quelle storie dove non si conosce il colpevole. Serve ai familiari. E’ in gioco una visione laica del perdono e della riconciliazione. Una società che si confronta e si interroga con serietà su cosa fare per le persone che non hanno avuto giustizia è una società sana.
Secondo il Rapporto Sherman-Strang 2015 “i programmi di giustizia riparativa possiedono un buon rapporto costi-benefici nella riduzione del tasso di recidiva; riescono a ridurre sia la frequenza, sia la gravità degli episodi di recidiva quando vengono utilizzati per i reati violenti”.
In conclusione don Ciotti ha parlato di “giudizio, vendetta, pena e perdono”, le quattro parole che il volume di padre Occhetta consegna al lettore. Parole che faticano ad accompagnarsi perché contraddittorie e conflittuali. «I sentimenti – ha continuato don Ciotti – quando non trovano ascolto e rielaborazione diventano ri-sentimento. Un sentimento ammalato è un dolore insopportabile».
Il perdono si ottiene nella sfera personale e intima dell’individuo ma è una proposta culturale che deve originarsi dalla politica.