Fa discutere il mondo la considerazione di Sean Parker, ex presidente di Facebook che ha fatto parte dell’azienda di Mark Zuckerberg nei suoi primi cinque mesi di vita. Per lui il social sfrutta una vulnerabilità nella psicologia umana e rischia di far male.
Parker, in particolare, ha criticato l’effetto di Facebook sui ragazzi, dovuto essenzialmente dall’architettura dei ‘Mi piace’, alle condivisioni e ai commenti; funziona, di fatto, come “un loop di validazione sociale”, cambia letteralmente le relazioni con la società, degli uni con gli altri”. E ancora: “In qualche modo interferisce con la produttività e solo Dio sa l’effetto che sta provocando nel cervello dei nostri ragazzi”.
Parker dice di essere diventato “obiettore di coscienza” del social network e ha paventato anche la possibilità di una vera dipendenza (c’è chi parla addirittura di “Facebook addiction”?, perché si evidenzierebbero in alcuni casi comportamenti simili a chi è dipendente da alcool o droghe.
Una ricerca pubblicata su “Psychological Reports” ha evidenziato alcuni aspetti del social che possono effettivamente essere assimilati alle droghe, e come questa dipendenza sia assai più comune fra gli utenti giovani, i soggetti più ansiosi e socialmente insicuri e le donne, mentre gli adulti, le persone più ambiziose e quelle maggiormente organizzate sono in grado di gestire meglio il loro rapporto con Facebook, senza farsi sopraffare. (notizia a cura di Franco Maresca)

