Benedetta Grendene
Mi sento di chiedere aiuto al nostro santo patrono e “dottore dell’amore” San Francesco di Sales per donare a tutti voi cari colleghi una mia umilissima riflessione su come possiamo Raccontare (e vivere) la gioia della Pasqua nella nostra professione.
«Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo»: cito questo aforisma del nostro protettore perché credo che la gioia che abbiamo nel cuore derivi solo dall’amore che ci permette di affrontare la vita e di tendere ad uno stato di grazia alimentato da un dialogo intimo e costante con un Dio che è Padre.
La speranza in Colui che ci salva prima di tutto da noi stessi e dai nostri limiti diviene allora certezza, palingenesi e motore pulsante che ci fa andare avanti nella vita e nel nostro lavoro.
La nostra è una professione che di “gioioso” ha ben poco: per noi giovani le prospettive future continuano spesso ad essere sinonimo di “volontariato”, “sfruttamento”, “lavoro nero”, “false promesse”, “false tutele”. Allora più il tempo passa e più mi rendo conto che la gioia di portare la croce, di abbracciare la sofferenza e l’umiliazione che quotidianamente ci azzera, è proprio quella di cercare di vivere il lavoro come preghiera, donando le proprie fatiche e il proprio sacrificio per un bene più grande che non è un bene terreno. Si va avanti con molta fatica e in questa continua e spesso logorante lotta interiore con la nostra coscienza, dobbiamo far tesoro dell’unica gioia che resta: la gioia di incontrare l’altro, capolavoro tangibile di quell’amore incondizionato di un Dio che ha vinto la morte e ha redento il mondo.

