12 Maggio 2018
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Giovani Giornalisti/4 – La nostra denuncia contro la ‘cattiva precarietà’ del lavoro

La quarta rivoluzione industriale ha cambiato il mondo del lavoro, non solo quello giornalistico.

Michela Di Trani

Ha rivoluzionato abitudini, stili di vita e modelli antropologici. Sono mutati i luoghi, i tempi e gli spazi di lavoro. Non è più necessario recarsi in azienda o in redazione; tramite un pc e una connessione a internet è possibile prestare un’opera professionale da ogni dove. Sono cambiati quindi anche i costi del lavoro e la gestione del suo tempo. La presenza fisica non necessaria ne abbatte inevitabilmente i costi.

Ne consegue che si modificano anche i diritti e i doveri del lavoratore. E il lavoro agile, leggero, non è semplicemente lavorare da casa, comporta un capovolgimento della valutazione dello stesso, si misura il risultato professionale, la sua produttività. Non c’è un cartellino a stabilire quanto si è lavorato. Orario, luogo e mansioni non sono più criteri di misurazioni del lavoro. Concetti scontati per chi quotidianamente vive anche in minima parte l’attuale mercato del lavoro ma che fanno fatica a tramutarsi in provvedimenti normativi adeguati che siano in grado di garantire la dignità del giornalista, del lavoratore e del professionista.

È in atto un cambiamento culturale e sociale, che la politica non riesce a cogliere, che apre a scenari di “cattiva precarietà” e “sfruttamento” del lavoro di ogni sorta. È necessario agire culturalmente sull’incapacità di adattarsi al mondo che cambia, informando e formando una nuova opinione pubblica sugli emergenti paradigmi di lavoro, denunciando le inerzie. Si tratta della funzione sociale di mediazione che l’informazione è chiamata a svolgere.

In questo il giornalista deve assumere un ruolo. Da protagonista sarebbe il suo naturale. È il suo mestiere. Che comporta anche andare contro l’establischment, in ossequio al principio del “cane da guardia” della democrazia.