30 Settembre 2018
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L’incontro in carcere e tre dubbi che assillano un giornalista

“Ergastolo: tutti ne parlano ma nessuno lo conosce. L’impegno per un’informazione deontologicamente corretta”. È il titolo del seminario formativo organizzato martedì 25 settembre nella sezione di alta sicurezza del carcere di Parma da Carla Chiappini dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna in collaborazione con 'Ristretti Orizzonti.' Tra relatori gli stessi ergastolani. Tra i partecipanti anch’io. Qui qualche pensiero in libertà.

Matteo Billi

Una penna, un taccuino, un cartoncino verde plastificato con le scritta “visitatori” sono gli unici oggetti che posso portare con me. Il cellulare è vietato, idem la macchina fotografica. Entriamo tutti insieme alle 9 e ne usciamo, sempre in gruppo, sei ore dopo con tante domande e poche risposte. Almeno per me perché qualche collega non ha dubbi: «questi sono ergastolani, assassini. E si lamentano per ‘fine pena mai’? Vogliono dei premi?». “L’uomo immobile” – ci dicono nel corso del seminario – è quello considerato cattivo per sempre. Ma è davvero così dopo 20, 25, 27 anni recluso? (primo dubbio).

Se sono detenuti in alta sicurezza un motivo ci sarà. Vero. Eppure, ascolti le loro storie e scopri vicende giudiziarie che, al netto di sentenze definitive e ammissioni di colpa, hanno percorsi non sempre lineari. Esempio: qualcuno ha saputo di avere un ergastolo ostativo – fine pena mai – dopo più di dieci anni di reclusione. È giustizia questa? (secondo dubbio).

Poi arriva la domanda, legittima, di una collega: «La mamma di Tommaso Onofri – il bimbo di 17 mesi ucciso a Parma nel 2006 – ha detto che il vero ergastolo sarà il suo. Alle vittime nessuno ci pensa?». Risposta di Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo Sergio Bazzega ucciso dal Br Walter Alasia nel ’76: “Alle vittime non va mai chiesto che giustizia vogliono. Non sono loro a dover rispondere, è lo Stato che deve prendersi questa responsabilità”.

Uno Stato che in molti casi non adempie ai suoi doveri perché l’art. 27 della Costituzione è spesso disatteso nella parte (ma non solo) in cui non prevede la rieducazione del condannato. Eppure. Eppure i numeri che spesso noi giornalisti comunichiamo più con la pancia che con la testa sono lì a testimoniare che solo poco più del 5% – dati 2017 – delle misure alternative vengono revocate. Faccio mia una domanda emersa nel convegno: è il carcere che sta nella Costituzione o la Costituzione che sta in carcere? (terzo dubbio).

P.S.: avrei voluto scrivere altro e in altro modo. Pazienza. Spero possa servire come spunto di riflessione. Almeno due consigli di lettura: la lezione di Aldo Moro sull’ergastolo datata 13 gennaio 1976 (pubblicata sia da Cacucci sia da Ediesse), l’antologia di scritti di Alessandro Margara (curata dalla Fondazione Michelucci).