29 Luglio 2023
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‘Ad occhi sgranati’, il libro di Lucio Brunelli

“Il mestiere di giornalista mi ha dato la possibilità di incontrare tante persone speciali”, confida Lucio Brunelli nelle prime righe di Ad Occhi sgranati(edizioni Sanpino, pp. 182). Storie di papi e ambulanti, zingari ed ebrei, martiri e fondatori, recita il sottotitolo.

Vania De Luca

I profili di undici persone, a cominciare da alcune donne: Ceija Stojka, la zingara che conobbe – bambina – l’inferno dei lager nazisti, e che – adulta – fece il suo ingresso in Vaticano come una regina, e le suore dello Yemen, missionarie della carità, volto spesso nascosto di una chiesa operosa e lontana dai clamori, la più autentica. C’è il piccolo ebreo Giulio Segre, che durante la Seconda guerra mondiale fu protetto da don Cirillo, parroco di Cormaiore (nome italianizzato di Courmayeur), e c’è il rabbino Elio Toaff, anche lui salvato un giorno da un prete cattolico. Ci sono i papi, Ratzinger e Bergoglio, e l’ultimo “urtista” di San Pietro, Alfredo Chiarelli, (così venivano chiamati gli ambulanti, poiché per attirare l’attenzione dei turisti li urtavano con delicatezza). E poi Alver Metalli, don Luigi Giussani, Carlo Petrini (fondatore di Slow food), Paolo Dall’Oglio e Mar Gregorios, “due uomini di Dio, che amavano pazzamente la Siria”.

Lo sguardo dell’autore – la sua penna – è un filo rosso che attraversa epoche, luoghi e profili molto diversi, regalando al lettore i cammei di storie memorabili, con fatti e spaccati che probabilmente sarebbero rimasti nell’oblio se non ci fosse stato qualcuno a raccoglierli, a dare loro una forma e a restituirli in forma di racconto. Lo sguardo di quegli occhi sgranati si fa dunque parola, grazie all’esperto giornalista televisivo che non ha perso la capacità di stupore propria del bambino, e che riesce armonicamente a dire “io” senza ingombrare, senza invadere, senza togliere oggettività. Ogni storia è frutto di incontri personali, di dialoghi, di esperienze, con relative impressioni, riflessioni e considerazioni suscitate. L’autore ne è coinvolto nella misura giusta, riuscendo con discrezione a rivelare anche qualcosa di sé, della sua sensibilità, del suo modo di entrare in relazione, con quella giusta distanza (o giusta vicinanza) dalle storie che è spesso frutto di un’alchimia difficile. Perché non è facile la misura di quel “giusto”, ed è comunque soggettiva, e insieme frutto di una complicità implicita con chi di quelle storie è il destinatario.

Nella scrittura sobria, essenziale e precisa del giornalista nato con la carta stampata e diventato poi televisivo, si coglie una sapiente capacità di occhi e di parola, allenamento a vedere e a rendere, insieme al campo lungo, anche i dettagli, valutando senza giudicare, mettendosi in gioco e insieme in discussione. La forza delle storie, dei personaggi incontrati, è talvolta confermata da chi accompagna, completandolo, il lavoro del giornalista, come l’operatore tv o il montatore, chiamati per nome, compagni d’avventura. Perché c’è un lavoro di squadra dietro un pezzo televisivo, che sia per il telegiornale o per l’approfondimento. Brunelli rivela in controluce anche dei tempi, uno stile, un modo di lavorare – e di “produrre” – che piacerebbe non vedere tramontare.

Le ultime righe fanno riferimento a ciò che conta “agli occhi di Dio” (il “buon Dio”, evocato con discrezione in più di un passaggio del libro), che ci sembra abbia accompagnato la vita dell’autore, la sua ricerca, in fondo il suo lavoro e la sua inquietudine. Lucio si definisce “timido”, ma è forse proprio questa nota di carattere che lo ha aiutato a dire “io” con tanta forza e tanta leggerezza insieme.