“Diventare chi?” Macchine? Eroi? Figli? In un recente taglio basso del Corriere della Sera Alessandro d’Avenia fa una lunga riflessione sull’immaginario della nostra società che impronta anche il linguaggio della formazione scolastica alla tecnologia.
Ragioniamo in termini di programmi, di risultati da raggiungere e di efficienza, ma quando siamo stanchi ci sentiamo “scarichi” come batterie e tentati di “staccare la spina”. La società greca era tesa a proporre il modello eroico, del superamento di quello che è intrinseco all’essere umano come essere mortale che guarda con invidia e tensione agli dèi immortali, il cristianesimo ci ha reso invece figli, in relazione con Dio e con i fratelli che condividono la stessa casa che è la Terra.
Una bella suggestione per capire il valore della formazione, quel dare forma, plasmare una coscienza secondo una visione profonda che si nutre dei tempi che si vivono ma li vuole travalicare in cerca d’assoluto.
Anche noi giornalisti stiamo perdendo l’Umanità
Provo a restringere il campo alla formazione dei giornalisti, coloro che intingono la penna nell’umanità altrui, nel racconto del dramma, dell’evento, del micro o del macrocosmo, delle dinamiche di un paese o di un’anima.
Ce lo ricordava bene Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, nell’ultima edizione della Scuola di Assisi che l’Ucsi instancabilmente organizza ogni anno per offrire uno spazio formativo ai giovani colleghi dell’associazione: “Molti eventi formativi di questo genere nascono da una preoccupazione: stiamo perdendo l’Umanità.
L’Umanità non è statica ma dinamica. Non è cioè una cosa che si acquista per sempre. Una mucca la sua bovinità non la perderà mai, ma una persona la sua umanità può perderla in ogni istante, basta che giri la testa da un’altra parte mentre c’è un uomo che soffre. Certo l’umanità la si può riconquistare ma si può anche perderla ogni giorno di più. Allora seminare il dubbio che ciò possa avvenire in ogni istante è quel che ogni buon giornalista dovrebbe fare”.
L’esperienza di formazione della nostra scuola di Assisi
Nell’ultima edizione della scuola di Assisi un giovane ci ha posto un dubbio: le scuole di formazione per l’accesso alla professione non rischiano di essere elitarie con i loro costi? Sì, rischiano, ma sono l’unica garanzia per formare professionisti davvero attrezzati ad affrontare la complessità del presente, una palestra dove praticare il discernimento con un occhio all’etica, dove confrontarsi con stili, metodi e formazioni differenti, sintesi della polifonia del mondo dell’informazione, ma soprattutto per sottrarre l’ingresso a questa delicata professione a logiche clientelari e favoritismi. Ma anche qui deve prevalere un senso di umanità.
Il mondo della formazione deve garantire borse di studio a sostegno di chi vuol legare il proprio futuro a quello della professione giornalistica, una professione che sta ridefinendo ruoli e missioni. Dalla Scuola di Assisi è partito un cantiere che ha lanciato la sfida sulle 5M necessarie ai professionisti di domani per un giornalismo responsabile. “M” sta per More, i “più” che i giovani hanno eletto come necessari per integrare la regola aurea delle 5W, basilari in ogni notizia. Oggi sono necessari più fonti, più tutele, più tempo, più linguaggi per scriverne, ma più di tutto ci vuole più umanità.